La solitudine dei numeri uno può somigliare all’angoscia, quando ti trovi a combattere su un campo da tennis. Specie se il match dura cinque set, quattro ore e ventinove minuti e si chiude alle tre del mattino abbondanti. È successo a un campionissimo come Novak Djokovic, stanotte, sul mattone tritato del Philippe Chatrier: il centrale dello stadio Roland Garros a Parigi, campionato del mondo su terra battuta. Lì, davanti agli spettatori incapaci di andare a dormire, è andato in scena uno spettacolo uscito dalla tecnica del gioco – peraltro sublime – per entrare nei meandri della psiche e dei misteri dell’animo umano. La conoscenza di sé stesso e dell’altro, cioè l’avversario. Opposto all’italiano Lorenzo Musetti, ventiduenne dal talento purissimo, Djoko pareva spacciato. Piegato in due, la faccia nascosta in un asciugamano, appeso alla racchetta usata da stampella. Un re nudo, battuto dal tempo che passa e non fa sconti. In un attimo fatale è apparso logorato da mille battaglie e appesantito dai 37 anni compiuti giusto dieci giorni fa. Il giovane rivale imperversava, regalando magie e ricevendo in cambio applausi di meraviglia. È la fine, hanno pensato tutti.
Quell’uomo nato per combattere non è stato dello stesso parere. Si è guardato dentro, ha cercato in ogni angolo del corpo, ha frugato in fondo al pozzo trovando le armi e tirandole fuori. Così ha trionfato per l’ennesima volta. Ha imposto la legge del cannibale, lo squalo, il caimano che è nell’arena. I numeri uno abitano la solitudine, è vero, sono abituati a sbrigarsela da soli fin da piccoli. Ma stavolta è stato diverso. Stavolta c’era una donna assieme al Djoker: gli ha lanciato un salvagente nella tempesta e l’ha trascinato a riva. Si chiama Jelena Ristic, è sua moglie. Si conoscono dalle scuole superiori, si sono sposati nel 2014 e hanno due figli, Stefan e Tara. Lei a volte porta i bambini nel box a vedere papà che gioca, stanotte invece li aveva lasciati in albergo con la babysitter. L’appuntamento al Roland Garros era troppo importante e c’era un lavoro da fare con il marito. Il marito appeso a un regno friabile, che non ha ancora vinto un torneo in questo stranissimo 2024.
Nole era sott’acqua, travolto dal ragazzo Musetti. Lasciava andare la pallina senza ricorrerla, non difendeva la rete, arrancava dal fondo. Sfiduciato. Sfinito. Sballottato. Morto. Jelena assisteva al tramonto dell’eroe respingendo a fatica le lacrime, stringendo le mani unite fino a far diventare bianche le nocche. Non era una delle tante partite, era l’ultimo valzer. E all’apice del climax l’ha guardato incitandolo a non mollare, fingendo di credere che la rimonta fosse possibile. Lui si è voltato e improvvisamente, senza motivo apparente, le ha sorriso felice. E lei, senza motivo apparente, è scoppiata in una fragorosa risata. Si sono parlati con gli occhi e un sussurro, due serbi che comunicano a distanza in una lingua che conoscono solo loro. Imparata una vita fa.

Non è un romanzo rosa, non è un lieto fine di Hollywood: eppure Djokovic ha cominciato a prendersi il match in quel preciso momento. Aggrappato al senso di un amore scoppiato nel 2005, quando non avevano neppure vent’anni. Non è stato facile, perché avevano deciso che era giusto coltivare ciascuno le proprie ambizioni. Hanno condiviso il rischio della distanza: lui in giro per tornei, lei arrivata a Milano per studiare Business e Management alla Bocconi. Erano un tennista a caccia di punti nel tour e una studentessa senza troppi soldi in tasca, impegnati a pianificare con cura come e dove incontrarsi. “La nostra relazione – ha raccontato lei più tardi – era un film di fantascienza. Non avevamo soldi da sperperare e i voli costavano cari. Ma abbiamo tenuto duro”. Durante un torneo a Montecarlo andarono a cena in un ristorante di lusso: ordinarono una tartare senza sapere cosa fosse, e quando scoprirono che era carne cruda rimasero sconvolti. Oggi sarebbe impossibile. Novak e Jelena sono entrambi vegani osservanti. Il primo a diventarlo è stato Nole per scelta etica, non unicamente legata al miglioramento delle performance; lei l’ha seguito “per stare bene con me stessa”. Così proprio nel principato, dove risiedono, hanno aperto un ristorante vegano che si chiama Eqvita. E i figli? “Saranno loro a scegliere che cosa mangiare”, è stata la risposta all’unisono.
Sono cose che contano. Che possono tornare in mente di botto durante un’interminabile partita che sembra perduta. Quando dalle tribune Jelena ti guarda e ti sprona discreta: una donna, non una velina. La compagna diventata imprenditrice, ceo della fondazione benefica che porta il nome di Nole ed è impegnata per i bambini in condizioni di povertà. Anche lei, come il marito, è una sportiva: su Instagram mostra di saperci fare con la racchetta, un video la riprende in palestra, un altro mentre scia, corre, si arrampica. Seguendone l’esempio Djokovic si è avvicinato allo yoga, armonia di fisico e anima, utile a calmare l’ansia e lo stress in campo e fuori. Capita pure di vederli assieme, nei rari momenti liberi, a fare trekking in montagna. Non sono sempre rose, nessuno ci crederebbe. Tutte le coppie hanno momenti difficili in cui anche l’unione più solida traballa, e un colpo imprevisto può far girare la partita. Il tennis è in fondo una metafora della vita. Nole, campionissimo che molti detestano perché è imbattibile e non va in pensione, tornerà in campo domani. Domani è un altro giorno. Stanotte però il numero uno ha vinto in due, ha vinto con Jelena e il resto non conta.