E così il ragazzo meraviglia ce l’ha fatta. La buona domenica per gli italiani è arrivata all’ora del caffè, dopo pranzo, da Melbourne dove Jannik Sinner ha conquistato l’Australian Open battendo il russo Daniil Medvedev. Nel modo più bello, più sofferto, più consapevole. Il punteggio parla chiaro: 3-6, 3-6, 6-4, 6-4, 6-3. Ha rimontato due set in cui l’avversario aveva dominato, forte dell’esperienza di altre cinque finali come queste nel suo palmares. Lui non si è demoralizzato, ha spazzato via la frustrazione e si è arrampicato a mani nude sul match. Facendolo suo. È un successo che costringe i cronisti ad aggiornare la storia del tennis, con la certezza però che tante altre pagine siano ancora da scrivere.
“È inarrestabile”, ha commentato in tv a caldo l’idolo aussie Nick Kirgyos. Possibile che sia davvero così. Il torneo che si gioca down under, dall’altra parte del mondo, è il primo Slam — per i non addetti ai lavori si tratta del poker che comprende anche il Roland Garros a Parigi, Wimbledon e gli US Open di New York — firmato dal ventiduenne nato a Sesto Pusteria, paesino di 1860 anime nella provincia autonoma di Bolzano. Un torneo dello Slam è un po’ come il Santo Graal: tutti lo sognano, pochissimi riescono ad afferrarlo. L’ultimo italiano a riuscirci era stato Adriano Panatta nel 1976 ai campionati di Francia. Quasi mezzo secolo fa, un’altra epoca e un altro mondo.
Panatta è stato un divo della terra rossa: bello, fotogenico, il ciuffo sulla fronte, inseguito e inseguitore delle donne, fantasioso, artistico. Quando colpiva la palla si sentiva nell’aria un pof, pof, pof che era fluidità e morbidezza. Quando colpisce Sinner sul prediletto cemento, il suono che esce dalle corde è un toc impressionante per potenza, energia e precisione. Gli esperti lo riconoscono all’istante: è il segno dei fuoriclasse. Eppure Jannik è un mingherlino alto 1,88 per 76 chili, che solo recentemente ha messo su muscoli e resistenza, doti indispensabili nel gioco superveloce di oggi. Il resto c’era già in grandissima parte, perché è un predestinato.

Gli piaceva sciare (tuttora il secondo sport preferito) e primeggiava nelle gare sulle sue montagne, ma qualcuno che vedeva lontano lo dirottò — con il suo pieno consenso — su un campo da tennis. A dodici anni partì per Bordighera dove c’è la scuola di Riccardo Piatti, allevatore di potenziali campioni, e lì cominciò l’avventura. Lontano dalla famiglia, dai luoghi del cuore e dagli amici, con un pensiero fisso: crescere nel gioco e nella vita. E’ riuscito perfettamente in entrambe le cose.
“Non è stato facile — racconta lui — né per me né per la mia famiglia”. Gente semplice che gestisce un rifugio in Val Fiscalina: papà fa il cuoco, mamma è cameriera in sala. E c’è pure il fratello adottivo di nome Mark, nato in Russia, tre anni più grande di Jannik e trenta centimetri di statura in meno. Nessuno di loro era oggi a Melbourne, perché la presenza nel box è una piacevole eccezione: a ciascuno il suo, a casa c’è da lavorare e quel figliolo con le lentiggini sa cavarsela benissimo da solo. Sinner ha una maturità che sbalordisce, l’ha sempre avuta. Giusto due anni fa in Australia, eliminato dal greco Tsitsipas nei quarti di finale — risultato comunque invidiabile —, ha deciso di cambiare tutto. Ha salutato il maestro e sostituto padre Piatti creando un nuovo team che, pedina su pedina, l’ha portato al trionfo di oggi: il coach Simone Vagnozzi che studia tattica e aspetti tecnici, il supervisore Darren Cahill che analizza ogni partita fatta e da fare, il preparatore atletico Umberto Ferrara e il fisioterapista Matteo Naldi che si prendono cura del suo fisico delicato. Dice di lui Cahill, ex allenatore del mito Agassi: “Jannick ha etica del lavoro, voglia di imparare, desiderio, obiettivo. Ha tutto questo e ha anche un gran senso dell’umorismo che dimostra in campo e fuori. Un ragazzo delizioso che ama stare in compagnia e passa il tempo divertendosi con la squadra. In più ha un fantastico quoziente intellettivo tennistico”.
Non solo tennistico, viene da specificare. Sinner è un cervellone che farebbe bella figura come allievo a Yale, al Mit di Boston e alla Normale di Pisa. Apprende le informazione al volo, le incamera e le processa nella sua testa-computer per metterle in pratica sul campo. In questo pare glaciale ma non lo è affatto: scaricato lo stress agonistico sfodera il suo sorriso fatato e pensa a quelli che ha attorno a sé e ai tantissimissimi che lo seguono da lontano. Non lascia indietro nessuno, disponibile e amabile in qualunque occasione. Una personalità spiccata, un carattere magnifico: è un giovanotto perfetto diventato uomo prestissimo, senza perdere il gusto per il divertimento della sua età. Così oggi è lo sportivo italiano più famoso al mondo. E anche il più amato attraversando le generazioni, con quella faccia pulita di ragazzo educato e perbene che incanta. Il nostro ragazzo. Durante la premiazione ha ringraziato i genitori: “Auguro a tutti i bambini di avere una famiglia come la mia, che mi ha lasciato libero di scegliere la strada”. Bravissimo in ogni circostanza, appunto.

I suoi capelli rossi ribelli, a stento contenuti dall’eterno cappellino, sono ormai più celebri della chioma di Rita Hayworth: non lo chiamano Carota per caso, affettuosamente. Perché se non fosse che Jannik è il presente e il futuro del jet tennis supersonico, sembrerebbe un giocatore d’altri tempi. Uno venuto dall’epoca degli immortali dai gesti bianchi: elegante e leale, riservato e simpatico, correttissimo con i rivali che lo rispettano per la bravura e l’umiltà. Logico che un tale fenomeno faccia inevitabilmente gola agli sponsor. La Nike ha puntato su di lui nella primavera del 2022, annunciando un accordo di 10 anni con l’altoatesino che incassa dalla casa d’abbigliamento 15 milioni a stagione. Anche Rolex e Head (fornitore delle racchette), storici marchi attenti ai big del tennis, hanno ufficializzato un contratto per cifre importantissime. Le aziende italiane non sono rimaste a guardare: da Gucci (ma il borsone griffato è improvvisamente sparito dal campo) a Lavazza, da Intesa Sanpaolo fino alle edizioni Panini e ai quaderni scolastici Pigna, da Fastweb all’Alfa Romeo. Una partnership dopo l’altra che frutta all’azzurro una cifra superiore ai venti milioni annui, sommandosi ai premi: vincere in Australia, per capirci, vale due milioni di euro. Del resto la popolarità è dilagante — i social che pure usa con parsimonia lo dimostrano — ma non c’è pericolo che perda la testa, assistito com’è dal manager amico fidato da sempre.
Giovedì sarà ricevuto al Quirinale dal presidente Mattarella assieme alla squadra di Coppa Davis, la storica insalatiera che senza Jannik l’Italia non avrebbe vinto. Insomma Il vero problema con lui è trovargli un difetto, ammesso che ne abbia: “You are not human”, non sei umano gli disse a fine partita il cosacco Bublik sconfitto a Miami. Lo aspetta però un impegno pubblico importante che sarà la cartina di tornasole in tal senso: Amadeus sta facendo carte false per averlo ospite d’onore a Sanremo e farlo cantare sul palco dell’Ariston. Scommettiamo che almeno lì steccherà?