Giunti praticamente a un terzo di campionato, con la terza sosta per le nazionali in tre mesi, la Serie A ha cominciato a delineare i suoi valori anche se la classifica resta particolarmente compatta e incerta nelle zone centrali.
Qualcuno, però, ha lanciato la fuga: è il caso di Inter e Juventus, proprio le due squadre che alla ripresa si affronteranno nel derby d’Italia. È fuga vera? La classifica dice questo e probabilmente ce lo si aspettava dall’Inter, che è di gran lunga la miglior rosa di questo campionato: profonda, qualitativa, con cambi all’altezza quasi in ogni posizione ad eccezione forse dell’attacco, dove gli acciacchi di Arnautovic e Sanchez stanno costringendo Lautaro e Thuram agli straordinari.
I nerazzurri a 31 punti in 12 turni sono la normalità, vista la forza della squadra di Simone Inzaghi, ma alle loro spalle c’è la Juventus a quota 29 e questo è già più anomalo: i bianconeri fin qui stanno sfruttando al massimo il “vantaggio” di avere una sola partita a settimana, vista l’estromissione dalle Coppe europee per i fatti ben noti, e stanno compiendo un capolavoro di cinismo. Il calcio di Max Allegri, infatti, è un inno al catenaccio all’italiana con qualche spruzzata di contropiede: il manifesto è la preziosa vittoria di Firenze, un golletto e poi tutti dietro con il pullman davanti alla porta. Oh, per intenderci: chi vi parla è un risultatista puro, perciò finché arrivano i punti fa bene a fare così, anche se con certi elementi in squadra (su tutti Vlahovic e Chiesa, esaltato in azzurro dal gioco propositivo di Spalletti) forse si potrebbe sperare di vedere qualcosa di diverso.

I problemi veri, però, ce li hanno tutte le altre: quelle che inseguono, in certi casi anche a parecchia distanza. É il caso del Milan e del Napoli, ad esempio: i rossoneri sono a -8 dall’Inter e a -6 dalla Juventus, il Napoli addirittura a -10 dai nerazzurri e -8 dai bianconeri. Cito loro perché parevano gli organici più vicini al treno interista e non a caso sono le squadre degli allenatori più discussi: Stefano Pioli ha traballato paurosamente dopo il pari subito in rimonta a Lecce (e ci sarebbe stato anche il 3-2 salentino, senza l’intervento fiscale del Var in un pomeriggio in cui Abisso e Guida ne hanno combinate di tutti i colori), Rudi Garcia è saltato dopo il k.o. interno contro l’Empoli. Andiamo con ordine: Pioli sta deludendo e il suo ciclo sembra terminato, soprattutto guardando l’ufficio facce: le critiche davanti ai microfoni di Calabria, gli sbrocchi di Giroud e Leao ai cambi sono segnali chiari. Lo ha salvato il successo sul Psg che tiene il Milan vivo nel girone – e probabilmente la gratitudine per lo scudetto di due stagioni fa – ma sembrano davvero gli ultimi giorni dell’impero.
L’impero che si è sgretolato invece è quello del Napoli e il colpevole ha un nome e un cognome: Aurelio De Laurentiis. Vinto lo scudetto – un capolavoro di cui gli va dato atto, anche per la scelta di tenere Spalletti dopo i malumori della piazza – il presidente dei partenopei ha pensato di essere un Re Mida infallibile e spesso è il viatico per i peggiori disastri. E così, persi in un’estate due big come Spalletti e Giuntoli (che anche comprensibilmente hanno battuto altre strade, sapendo di poter solo fare peggio), ha virato sul mediocre Garcia, reduce da una risoluzione con l’Al Nassr, e su un onesto mestierante come Meluso, scelta che nascondeva la voglia di fare sempre più il presidente-padrone-protagonista. “Scusi, non le basto io?”, rispose quest’estate a Thiago Motta, quando il tecnico-rivelazione andò a colloquio con De Laurentiis chiedendo chi si sarebbe occupato del mercato: saluti e baci. E i fatti stanno ovviamente dando ragione all’ex centrocampista del Triplete interista. Ora la stagione è diventata molto complessa ed è ancora più discutibile la scelta di riportare a Napoli Walter Mazzarri: banalmente, è l’unico che ha accettato sei mesi di contratto – col rischio di una figuraccia – visto che De Laurentiis voleva un traghettatore per poi far ripartire un nuovo ciclo tecnico (si spera per il Napoli) la prossima estate.

Dietro al convalescente Milan e al Napoli in pieno cambiamento c’è un gruppone di squadre pronte a inserirsi vista la classifica cortissima: basti pensare che dal quarto posto del Napoli che vale la Champions al quattordicesimo del Lecce ci sono soli sette punti, a un terzo del torneo. Cercano un posto al sole squadre forti che hanno – o cominciano a costruirsi – un pedigree europeo come Fiorentina e Atalanta, a braccetto a quota 20 punti, o le romane che al momento sono di rincorsa – Roma 18, Lazio 17 – dopo il reciproco brodino nel derby e un avvio tutt’altro che scintillante. Ma per dirla chiaramente: la Lazio non vale i primi quattro posti per valore della rosa, la Roma può valerli solo se ha tutti gli effettivi, pertanto sia Mourinho sia Sarri cercheranno di fare il possibile gestendo anche il doppio impegno. Attenzione anche al gruppo delle ambiziose: il bel Bologna di Sartori e Motta, fermato a Firenze dopo dieci risultati utili in fila, il Monza di Galliani e Palladino, il Torino in risalita di Juric.
Ora che le soste vanno in naftalina fino a marzo, sarà una full immersion in un campionato decisamente livellato nelle zone medio-alte di classifica, mentre dietro si lotta – sportivamente parlando – per la vita. E al di là della Salernitana, che ha fatto una scelta molto discutibile con Pippo Inzaghi, e dell’ultimo Verona, che curiosamente ha dato un’altra chance a Marco Baroni, c’è grande equilibrio anche là sotto. E attenzione al mercato di gennaio, perché i campionati recenti hanno dimostrato quanto possa alterare i valori, specie in fondo: ci aspetta un inverno tutto da vivere.