Benedetto ragazzo, ormai si parla di lui anche in chiesa. È accaduto nel sermone di domenica scorsa quando don Davide Baraldi, parroco di Santa Maria della Carità a Bologna, vicario del cardinal Zuppi, ha tirato fuori la parabola dei talenti prendendo a esempio Jannik Sinner. Citazione due volte dovuta, visto che Sinner in inglese vuol dire peccatore. Per il sacerdote appassionato di tennis sarebbe stato un peccato mortale perdersi le Finals: a messa finita, è partito per Torino dove sono in campo gli otto migliori giocatori del mondo. Tra loro c’è questo giovanotto altoatesino di 22 anni che fa impazzire l’Italia. Specie dopo la vittoria di ieri su Novak Djokovic, il serbo numero uno (di ogni tempo?) che a 36 anni ha superato tutti i record con 24 tornei Slam nel palmares – per i non addetti ai lavori si tratta dei campionati d’Australia, il Roland Garros a Parigi, Wimbledon e gli Us Open a New York.
Sinner il rosso ha battuto l’imbattibile, esaltando il pubblico sugli spalti – c’erano signore con mazzi di carote in mano, in omaggio al colore dei suoi capelli indomabili – e quello davanti alla tivù in una notte di felicità collettiva. Un’impresa epica anche se è appena una tappa: troppo troppo presto per sancire il passaggio di consegne. Ma non è tanto questo a colpire. Spot televisivi a raffica, cartelloni pubblicitari in ogni via, nelle stazioni e sugli autobus, una linea di moda personalizzata, il borsone Gucci accanto a quello sportivo, i quaderni e l’agenda di scuola con il suo nome: è Sinner mania.
Il ragazzo d’oro risiede a Montecarlo, la Nike gli ha fatto un sontuoso contratto decennale, nel 2023 ha intascato 5 milioni di euro solo con i premi (12 in carriera), più 15 dagli sponsor. Se li merita. Perché lavora sodo e non si fa distrarre dai soldi, ben amministrati da un manager amico da sempre. Perché iI suo allenamento è quasi maniacale, basato sull’etica della fatica e della disciplina che è la stessa di Pietro Mennea. Perché sa di essere un privilegiato: fa un mestiere che ama. La faccia di Jannik è in cielo, in terra e in ogni luogo, ma se Dio vuole è una bella faccia pulita. E’ un tipo riservato e discreto, non si sa neppure chi e come sia la fidanzata ammesso che ce l’abbia. In campo sembra un freddo ma non lo è: nasconde le emozioni per non dare vantaggi agli avversari. Usa i social con parsimonia e gli piace guardarsi attorno – usi, costumi, persone – in giro per il mondo. E’ simpatico, ironico e rispettoso. I ragazzini lo adorano, gli adulti pure: è un esempio positivo a 360 gradi. Mai una parola fuori posto. Si porta in dote una virtù quasi dimenticata: la buona educazione.
Tutto incanta di lui perché ha una storia che parla da sola. La fenomenologia del fenomeno comincia in montagna, a Sesto Pusteria, paesino di 1860 anime nella provincia autonoma di Bolzano. I genitori, madrelingua tedesca, si chiamano Hanspeter, classe 1964, e Siglinde di due anni più giovane. Gestiscono un rifugio in Val Fiscalina: papà fa il cuoco, mamma la cameriera in sala. Ha un fratello adottivo di nome Mark, nato in Russia, più grande di lui. Gente semplice che ha un pregio inestimabile: nessuno di loro c’è mai, salvo rare eccezioni, quando gioca. Il motivo? Restano a casa a lavorare. L’esempio conta eccome. La famiglia s’è vista al completo – con i suoi amici – in ottobre al torneo di Vienna, due passi dall’Alto Adige. Dopo il successo Sinner li ha ringraziati pubblicamente: «Di sacrifici ne ho fatti io ma ne hanno fatti anche loro, lasciar andare un figlio a 13 anni non è semplicissimo». A microfoni spenti ha aggiunto: “Fare colazione insieme per tutta la settimana è sembrato strano perché non succedeva da tanto tempo. Quando torno a casa non dura mai più di un paio di giorni, quindi stare così a lungo con i miei è stato diverso, buffo, bello e speciale”. Per recuperare un po’ di tempo perduto, papà Hanspeter è entrato nello staff del golden boy che spiega: “Mi sta vicino e cura la mia dieta, cucinare è la sua vita e io mi sento felice”.
Eppure doveva diventare uno sciatore, il bambino Sinner. A quattro anni era già bravo, aveva vinto slalom nazionali, andava forte in discesa e la passione gli è rimasta addosso anche oggi. Però qualcosa non quadrava in quello sport: “Allenamenti lunghi per una gara troppo breve, che impedisce di recuperare gli errori. Così sono passato al tennis”, racconta. Analisi lucidissima quanto precoce. Il suo marchio di fabbrica si può dire a posteriori. Assieme al coraggio che non gli è mai mancato, come ha sottolineato Djokovic ieri notte dopo il match, alludendo a due punti cruciali nel match. Se vuoi attraversare l’oceano non devi aver paura di perdere di vista la riva, insegna Cristoforo Colombo.
Jan a 13 anni ha fatto le valigie e si è trasferito a Bordighera nell’Accademia di Riccardo Piatti, che aveva capito di avere sottomano un predestinato. Scuola di tennis e di vita, perché Piatti è stato il padre vicino a fare le veci di quello lontano. Così l’adolescente filiforme è cresciuto in statura e abilità, entrando nell’élite dei migliori. Non gli bastava. Dopo una cocente sconfitta in Australia a gennaio 2022, ha deciso che era tempo tempo di uscire dalla comfort zone per cambiare tutto. Scelta sbagliata e temeraria, è stato il commento degli esperti. Invece ha avuto ragione lui. La nuova squadra itinerante – coach, super coach, preparatore atletico e fisioterapista – ha contribuito in un anno e mezzo a dotarlo di armi tecniche e atletiche determinanti. E’ un gruppo unito: “Si vince tutti insieme”, ha ribadito Sinner a fine partita includendo gli spettatori nel trionfo.
Che cosa succederà adesso? “Niente di diverso. Vinca o perda, Jannik impara sempre qualcosa”, dice Paolo Bertolucci, vincitore della Coppa Davis nel ’76 e brillante commentatore per Sky. Ubaldo Scanagatta, ex giocatore e direttore di un seguitissimo sito di tennis, spiega: “Di lui impressionano maturità e determinazione, è difficile pensare dove possa arrivare. Ma sa esattamente cosa fare e quali sono i suoi obiettivi”. Potrebbe fare la storia dello sport italiano, in fondo è già a buon punto. Ma la sua testa – una testa che in campo non ha uguali – funziona in un altro modo: “Quando batti Djokovic pensi a tutto quello che è stato. Io ogni mattina mi alzo con l’idea di diventare la migliore versione di me stesso”. Teniamocelo stretto uno così.