Lo scudetto ce lo stiamo “trezziando”, dice l’allenatore Spalletti alla vigilia del match point con l’Udinese. Per lui la festa epocale sarà quella di domenica 7 maggio, dopo la partita giocata in casa contro la Fiorentina, quando insieme ai giocatori si godranno il bagno di folla nei quartieri.
La partita è trasmessa in mondovisione, perchè tutto il mondo è una curva B. Ci sono piú napoletani a San Paolo, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Sidney che a Napoli. Nelle classifiche, Napoli è solo al sesto posto seguita dall’immensa tifoseria di Little Italy di New York. Perchè nulla unisce più del Tifo Azzurro. Perfino Bruce Springesteen tifa Napoli e al concertone a Piazza Plebiscito dichiarò le sue origine napoletane da parte di madre.
Calendario alla mano: ci sarà l’ultimissima partita di campionato il 4 giugno con tanto di consegna della Super Coppa di Campioni d’Italia. Fino ad allora non si smetterà di festeggiare, di urlare, di fare caroselli e di sparare. E meno male che erano state vietate le vendite dei fuochi d’artificio. Napoli è imprevedibile, dribbla la logica e fa lo sgambetto alle ordinanze del comune. Al fischio finale dell’arbitro è un’esplosione di botti che neanche la festa di Piedigrotta dei suoi anni migliori ha equali. Il giorno dopo il bilancio è di 203 feriti e un morto causato dai fuochi d’artificio.

ANSA/ETTORE GRIFFONI
Sul lungomare e dai balconi dei quartieri spagnoli, ogni angolo della città offre il suo spettacolo pirotecnico. Per non parlare di Forcella, che ieri mattina si è svegliata e, rompendo ogni schema scaramantico, ha issato uno scudetto alto 20 metri con la scritta: Il giorno tanto atteso.
Sono passati 33 anni dall’ultimo scudetto. Io c’ero nel 1990. Arrivai da New York con lo stesso spirito dell’immigrato che ritorna a casa e i parenti gli fanno festa. Ero una giovane stagista all’Europeo, Gianni Perrelli era l’inviato speciale. Per me quello scudetto fu il mio primo goal professionale.
Un’unica, lunghissima tavolata nei vicoli, un’onda azzurra accoglieva chiunque volesse unirsi ai festeggiamenti. Ci offrivano da bere, non c’era il delirio dei selfie: si festeggiava e basta.
Poi facemmo un salto sul set di Gianni Minà che da Napoli conduceva per la Rai “Notte per uno scudetto”.
Oggi, appollaiato con la sua troupe da domenica scorsa sul terrazzo di Palazzo Reale, Paolo Sorrentino, Piazza Plebiscito ai suoi piedi, fa sapere che girerà un film sullo scudetto. Un set spontaneo, la città ubriaca di tifo, un’uragano d’eccitazione prende forma sotto i suoi occhi.

Con me c’è Luciano Ferrara, il fotografo cult dei precedenti scudetti che saranno celebrati in un’esposizione “Era di maggio…’87, ’90”. C’è quella foto presa di spalle di un ragazzo argentino che sale i gradini dello Stadio San Paolo, oggi ribattezzato stadio Maradona. Quei gradini saliti alla svelta lo scaraventano nel suo futuro. Mostra itinerante che approderà anche a New York.
“Napoli è un luogo di droga naturale, inganna, ammicca, finge di prostituirsi, ti acchiappa per poi lasciarti smarrito o del tutto perduto”, ricorda Tony Damascelli, grande firma dello sport: anche lui c’era 33 anni fa.
Un’invasione pacifica di gioia allora come oggi. Mi butto anche io nel delirio della Piazza, per fare incetta di schiamazzi e ritornelli già virali sui social, un groviglio di ragazzi si arrampica sui lampioni e sventola le bandiere di Maradona. El pibe de oro sembra essere l’unico a compiere il miracolo di vincere lo scudetto anche da morto.
Intossicati dai fumogeni la sciarpa del Napoli funge da mascherina, la folla fa pressing, conquistiamo centimetri di strada. Anche la pizza è servita nei cartoni con il numero 10 di Maradona. La mia strada, Monte di Dio, è blindata e per me è la salvezza. Nel momento in cui scrivo, ore 2.49, sento ancora il ronzio delle pale degli elicotteri sopra la mia testa, cori, strombazzi e botti di sottofondo.