L’abbraccio più iconico del calcio italiano. È l’11 luglio 2021, Gigio Donnarumma ha appena parato il rigore dell’inglese Bukayo Saka e l’Italia è campione d’Europa: appena dentro il campo, il ct azzurro Roberto Mancini e il capo-delegazione Figc Gianluca Vialli si stringono, in lacrime. E’ la foto dell’impresa sportiva ma non è solo un’esultanza liberatoria: è l’immagine di due amici per la pelle a cui il destino aveva dato il tempo di condividere un’ultima grande gioia insieme. Sul campo di calcio, proprio dove quel rapporto speciale era nato.
Gianluca Vialli è morto questa mattina a 58 anni in una clinica di Londra, dove era ricoverato dagli ultimi giorni del 2022 per il progressivo aggravarsi delle sue condizioni di salute: nel 2017 gli era stato diagnosticato un tumore al pancreas e l’ex centravanti ha sempre vissuto il suo percorso con la malattia come un cammino “insieme a un ospite indesiderato”. “Spero che un giorno si stanchi di me”, raccontava nelle interviste: non è stato così, forse perché a detta di tutti coloro che lo avevano conosciuto Gianluca Vialli era una persona speciale, dal cuore buono.

Nato a Cremona nel luglio del 1964, Vialli è stato un centravanti d’altri tempi: poderoso, acrobatico (alcuni gol in rovesciata sono rimasti negli annali, soprattutto uno con la maglia della Juventus nella sua Cremona nel 1994), potente. 123 gol in serie A, è nella cerchia ristretta di giocatori capaci di vincere tutte e tre le competizioni Uefa per club dei suoi tempi – Coppa Campioni, Coppa Uefa e Coppa delle Coppe – e ha giocato con Cremonese, Sampdoria e Juventus prima del suo passaggio in Inghilterra, al Chelsea. Memorabile lo scudetto blucerchiato del 1991 – uno dei due vinti in carriera – e proprio a Genova nasce la grande amicizia con Mancini con cui forma una delle coppie-gol più iconiche di tutti i tempi in Serie A.
Nel post-carriera, Vialli è tra i primi a sperimentare la figura del player-manager, sia giocatore che allenatore, ricoperta al Chelsea nel febbraio 1998 dopo l’addio di Gullit: vince una Coppa delle Coppe, la Supercoppa Uefa e altri tre trofei in Inghilterra, poi passa al Watford per un anno e in seguito decide di dedicarsi al ruolo di – apprezzatissimo – opinionista tv, in particolare per Sky Sport Italia.
Nel 2017 la diagnosi di tumore al pancreas sconvolge la sua vita: Vialli ha più volte raccontato di aver indossato in alcune dirette un maglione sotto la camicia, per nascondere l’evidente perdita di peso, poi ha deciso di annunciare a tutti la malattia e il percorso di cure a cui si stava sottoponendo. L’ex centravanti ha inserito l’esperienza vissuta nel suo libro “Goals, 98 storie + 1 per affrontare le sfide più difficili” (che sostiene la Fondazione Vialli e Mauro per la ricerca e per lo sport) e si è raccontato in diverse interviste: dai momenti più complessi a quelli della speranza, come ad aprile 2020 quando gli esami sono apparsi “puliti” dopo due cicli da ben diciassette mesi complessivi di chemioterapia.
Non ha mai vissuto la malattia come una battaglia da vincere (“anche perché so che non la vincerei”), ma come “una fase della vita in cui imparare qualcosa”. Non ha nascosto la paura di morire, ma ha spiegato in cosa lo ha cambiato il tumore: “Adesso so che non morirò di vecchiaia – raccontò ad Alessandro Cattelan nel suo programma su Netflix – ho meno tempo per essere da esempio per le mie figlie e cerco di essere un esempio positivo”. “Faccio fatica a dirlo, ma il tumore mi ha reso una persona migliore”, spiegò a Che tempo che fa, intervistato da Fabio Fazio. Poi ancora: “Il concetto della morte serve per far capire ed apprezzare la vita, l’ansia di non poter portare a termine ciò che voglio fare, il fatto di essere super eccitato dai progetti che ho mi fa sentire fortunato”.

ANSA/DAVIDE GENNARI
Nel 2019 Mancini lo chiama in azzurro come dirigente, factotum e uomo squadra: i due grandi compagni di squadra ancora una volta insieme, in quella che sarà un’impresa vincente. Il Covid rinvia la manifestazione di un anno, nelle condizioni di Vialli c’è il rischio di un orizzonte temporale che si allontana ma la malattia concede una piccola tregua ed arriva la splendida cavalcata inglese.
In quell’Europeo vinto Vialli non era stato solo capo-delegazione per volere dell’amico Mancini, ma anche guida spirituale di un gruppo diventato solidissimo nel mese di allenamenti che ha preceduto la competizione e poi sul campo, con i successi ai rigori in semifinale sulla Spagna e sull’Inghilterra, proprio in casa dei britannici. Un rapporto spiegato molto bene anche dallo speciale realizzato dalla Rai su quel trionfo, dal titolo “Sogno Azzurro: un documentario video che si chiude con il filmato di Vialli che legge alla squadra un discorso di Theodore Roosevelt, proprio prima della finale di Wembley.
“L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta. L’uomo che, quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato. Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria né la sconfitta”.
Poi arrivò la finale, la vittoria e quell’abbraccio stampato per sempre nella storia azzurra.