L’Italia ha perso. Quella del calcio s’intende. Era stata lei, all’Europeo, a inaugurare una lunga e inaspettata serie di vittorie in qualsiasi disciplina ed è stata lei a far sparire questa sorta d’incantesimo che ci aveva portato gioie e ori a non finire. Se n’è andata la bella stagione e con lei, almeno per una volta, anche le belle partite degli azzurri. Eravamo gli extraterrestri dei campi e dei parquet, dei palazzetti e del pavee, dell’acqua e dell’aria, della pista e del tartan e ora che è finita la lunga serie degli ‘Invincibili’ ci scopriamo, di nuovo e finalmente, fallibili. Contro la Spagna, che ha fermato la striscia positiva degli Azzurri a quota 37 partite, abbiamo giocato peggio del solito, non abbiamo sopperito alla mancanza di un vero centravanti e, con l’espulsione di Bonucci, abbiamo pure peccato di fanciullesca ingenuità.
Poco importa. La National League è una manifestazione appena nata, senza storia, quindi ancora priva di qualsiasi suggestione. Vanno in campo le Nazionali che rappresentano federazioni alla perenne ricerca delle risorse necessarie per continuare a campare nel lusso. Adesso negli uffici della Fifa stanno meditando di giocare i Mondiali ogni due anni. E’ paradossale: da una parte la Uefa stronca senza mezzi termini l’idea dei club di formare una Superlega all’insegna dei grandi campioni e dello spettacolo garantito e dall’altra la Federazione internazionale è pronta a cambiare regole e storia per lo stesso motivo: un disperato bisogno di denaro.
Al Congresso si è faticosamente trovato un accordo per rinviare a dicembre la discussione per innalzare il tetto del debito pubblico ed evitare così il drammatico scenario di un default.
Ne serve tanto, troppo, per tenere su il tendone di questo circo che paga i suoi figuranti cifre folli. E’ in questo terreno che affonda le radici il caso di Gigio Donnarumma, il più emblematico tra i tanti, quello che oltrepassa la linea del ‘non ritorno’ (alla logica s’intende) e che molto più della sconfitta, tiene banco dopo la serata storta di San Siro.
In estate il portiere del Milan è passato al Paris S. Germain, club che colleziona campioni come i bambini fanno con l’album delle figurine. Lo strappo c’è stato dopo un lungo tira e molla. Il Milan era arrivato a offrire a Gigio Donnarumma, miglior giocatore all’ultimo Europeo ed erede designato di Buffon, un contratto pluriennale da 8.5 milioni netti a stagione. Va detto che quella dei rossoneri è la casa natale di Donnarumma. Lì è nato e cresciuto, lì lo hanno fatto esordire in serie A all’età di 16 anni, lì hanno avuto il buon cuore di mettere sotto contratto anche il fratello meno bravo, perché tutta la famiglia vivesse tranquilla. Al momento di ridiscutere l’accordo, Donnarumma (sorretto dal suo agente Mino Raiola) si è impuntato: ha ritenuto l’offerta inadeguata alle sue capacità e non ha accettato neppure un rinnovo fittizio del contratto per permettere al suo club di incassare i soldi che arrivano dalla cessione del cartellino.
La storia è finita nel peggiore dei modi. Con Donnarumma passato al PSG che gli verserà 12 milioni di euro all’anno, con il Milan incredulo e a mani vuote e con l’agente del calciatore che ha incassato una percentuale faraonica sul nuovo contratto.
Il caso ha voluto che la sua prima partita in Italia, dopo il cambio di casacca, Donnarumma l’abbia giocata proprio a San Siro, dove lo attendevano al varco i milanisti delusi. Il fatto che il portiere l’altra sera fosse in maglia azzurra e non rossonera non ha placato il risentimento. Per Donnarumma la partita è stata un calvario. Prima ha trovato fuori dall’albergo del ritiro uno striscione che gli rammentava di non essere più il benvenuto a Milano poi, dal momento in cui è entrato al campo fino all’ultimo secondo, per lui solo fischi e insulti. Il soprannome che gli hanno affibbiato dopo questa vicenda è Dollarumma.
La discussione è aperta e animata. Quelli che ormai lo star-sistem ammette qualunque esagerazione e quelli che no, non si fa così: alto tradimento. Il ragazzo dal cuore di pietra deve pagare.
Ognuno è ovviamente libero di pensarla come crede, a patto che, com’è già successo, non si trascenda nelle offese e nelle minacce. E soprattutto che, se la rabbia si impadronisce di buona parte del pubblico, non sia mai fischiato l’inno delle squadre avversarie. E’ successo a San Siro e c’era di che vergognarsi. Ma come? Per tre mesi noi italiani non abbiamo fatto altro che salire sul gradino più alto del podio in compagnia dei nostri campioni e abbiamo ascoltato orgogliosi l’inno di Mameli che accompagnava le medaglie d’oro, poi fischiamo l’inno degli spagnoli…
La domanda sorge spontanea: abbiamo fatto un magnifico ‘sogno di tutta estate’ e ieri sera ci siamo risvegliati di colpo?