L’ultima partita di calcio l’ha giocata alla playstation contro Marco Sportiello, il portiere che era solito proteggere. Davide Astori, capitano della Fiorentina, se n’è andato a 31 anni, mentre dormiva nella sua stanza d’albergo a Udine, nel consueto ritiro prima di una gara in trasferta. Chissà se l’ultimo pensiero lo ha dedicato alla piccola Vittoria, la bimba di due anni, avuta dalla compagna Francesca Fioretti (ex Pechino Express), o forse a qualche idea di design, la sua passione privata. Così si descriveva in maniera autoironica sui profili Twitter e Instagram (social che però non usava più): “Designer di fama mondiale e calciatore nel tempo libero :-D”. Una passione, quella per lo stile, l’arredo, l’architettura, condivisa con i fratelli, Bruno architetto e Marco geometra. Amava passare il tempo libero per padiglioni e installazioni (“quando posso vado a qualche mostra di design (…) la mia passione per il design è nata proprio per questa vocazione di famiglia. Nei ritiri, portando alcuni giornali, ho iniziato ad avere la passione per oggetti e design. Ora è il momento del “pulciaro”: mi piace anche andare per mercatini e comprare oggetti antichi”) e in generale era molto attratto dall’arte. Arrivato a Firenze, nel 2015, disse al Guerin Sportivo di aver scelto la Viola anche per la bellezza della città: “ho già prenotato la visita guidata agli Uffizi e al corridoio vasariano”. I viaggi, la voglia di esplorare e conoscere l’altra grande passione di Davide che si definiva non il classico calciatore dalle vacanze alle Maldive. La mancata conferma dalla Roma l’apprese mentre era in Perù. La scorsa estate scelse invece di visitare l’India.
Tecnicamente era un difensore centrale mancino capace di unire eleganza e tecnica. Cresciuto nelle giovanili del Milan sotto lo sguardo di Franco Baresi, aveva come mito Alessandro Nesta, tanto da scegliere lo stesso numero 13. Nei primi allenamenti in rossonero con la prima squadra ricordava gli insegnamenti del “nonno” Billy Costacurta, ora vice commissario della Figc: “Qualche mio compagno, incosciente come si è a 18 anni, faceva il lezioso, giochicchiava davanti ai senatori. Allora arrivava Costacurta ed erano guai seri per gli stinchi. Ti insegnava subito a muoverti in quel contesto e a rispettare certe gerarchie”.
Nel calcio che conta era arrivato a Cagliari, dove esordì in Serie A a vent’anni con Massimiliano Allegri. In Sardegna trovò subito analogie con la sua Bergamo: “I sardi sono molti simili a noi: diffidenti all’inizio, molto socievoli in seguito”. E in Sardegna la sua carriera aveva preso il volo con sei stagioni in crescendo che lo avevano portato anche alla convocazione in azzurro con Cesare Prandelli per la Confederations Cup in Brasile, dove segnò addirittura nella finale per il terzo posto contro l’Uruguay (ultimo giocatore cagliaritano ad andare in gol con la maglia azzurra era stato Gigi Riva). Dal giro della Nazionale era uscito da tempo, ma non aveva ancora perso le speranze di tornarci, così rispondeva a precisa domanda della Gazzetta dello sport, solo un mese fa: “voglio fare bene nella Fiorentina per convincere Di Biagio e, magari, chi subentrerà come commissario tecnico a giugno, a chiamarmi nella Nazionale della riscossa”.
L’estate molto positiva del 2014, dopo la Confederations, fece scoppiare anche un derby di mercato tra Roma e Lazio per aggiudicarsi le sue prestazioni. Lo vinsero i giallorossi, proprio quando l’esito sembrava l’opposto, tanto che un irato Claudio Lotito, alla notizia della firma con la Roma, commentò: “Astori non è Maradona”. Insomma, la volpe e l’uva.
Nella capitale però Astori visse un’annata non facile, complice anche un infortunio, che indusse i dirigenti romanisti, a fine stagione, a non riscattarlo. “Ho sbagliato l’approccio, troppo timido, troppo prudente. Tornassi indietro ci butterei più arroganza, sarei più spavaldo. E’ una piazza dura, se l’affronti con il profilo basso ti schiaccia”.
Così arrivò l’approdo alla Fiorentina, dove proprio l’estate scorsa, il nuovo tecnico Stefano Pioli lo aveva scelto come capitano viola, dopo la partenza di Gonzalo Rodriguez. A Firenze l’approccio non fu certo timido come quello romano, tanto che una volta l’ex allenatore Paulo Sousa lo punì per un eccesso di personalità, quando richiamò a maggiori responsabilità nello spogliatoio di Empoli dopo una brutta sconfitta
In tanti, compagni e avversari, da Totti a Zanetti, da Nainggolan a Gonzalo Rodriguez, lo hanno ricordato con parole d’affetto. Le più significative, forse, quelle di Gigi Buffon:
“Ciao caro Asto, difficilmente ho espresso pubblicamente un pensiero riguardo una persona, perché ho sempre lasciato che la bellezza e l’unicità di rapporti, di reciproca stima e affetto, non venissero strumentalizzati o gettati in pasto a chi non ha la delicatezza per rispettare certi legami. Nel tuo caso, sento di fare un’eccezione alla mia regola, perché hai una moglie giovane e dei familiari che staranno soffrendo, ma soprattutto la tua piccola bimba, merita di sapere che il suo papà era a tutti gli effetti una persona perbene…..una grande persona perbene….eri l’espressione migliore di un mondo antico, superato, nel quale valori come l’altruismo, l’eleganza, l’educazione e il rispetto verso il prossimo, la facevano da padroni. Complimenti davvero, sei stata una delle migliori figure sportive nella quale mi sono imbattuto. R.I.P. Il tuo folle Gigi”.