"È il giorno di un fallimento, inutile negarlo o girarci intorno. Sono triste per la squadra e per la nazione. Siamo usciti meritatamente. Ora dovremo fare tutti un bell’esame di coscienza". Queste parole pronunciate subito da Gigi Buffon, il migliore tra i 22 giocatori scesi in campo per la partita Italia e Uruguay, con gli Azzurri alla fine sconfitti per uno a zero, dicono tutto. Inutile girarci intorno, l'Italia esce dal mondiale del Brasile per demerito acquisito sul campo.
La prima partita vinta contro gli inesperti ragazzini inglesi ci aveva illuso di avere una squadra. In realtà avevamo solo Buffon e un po' di Pirlo. Dopo l'Inghilterra, non abbiamo segnato più. Abbiamo creato pochissime occasioni. Giusto che andiamo via, andale Uruguay, che con tutti i suoi limiti, almeno ha dimostrato di avere cuore, rabbia (letteralmente, vedi il morso di Suarez) e stazza da campioni là davanti, come un certo Cavani.
Balotelli, lo abbiamo capito, aveva solo la stazza, ma del campione abbiamo visto nulla. Ovvio pensarlo: aaah, se ci fosse stato Giuseppe Rossi, anche al 50 per cento della condizione…
Come nei Mondiali del Sud Africa, l'Italia va via subito. A buttarci fuori quattro anni fa la Slovacchia. Ma a chi scrive questi mondiali hanno semmai ricordato più quelli del '74 in Germania, quando fummo eliminati, sempre alla terza determinante partita, dalla Polonia. Ci sarebbe bastato il pareggio, perdemmo per 2-1. Già, magari vincere o fuori, come in Spagna 1982 contro il Brasile (al quale invece sarebbe bastato il pareggio). No, nel mondiale tedesco del 1974, come in quello brasiliano del 2014, ci sarebbe bastato pareggiare… E abbiamo giustamente perso. Il carattere di noi italiani è questo, inutile, come ci ricorda Buffon, girarci intorno. Se si potesse rigiocare la partita a parti ribaltate, con all'Uruguay due risultati su uno a disposizione e agli Azzurri la vittoria obbligata, l'Italia vincerebbe. O almeno, ci proverebbe veramente a vincere. Quando si gioca per il pareggio, quindi per non giocare, si perde. Quindi, ci meritiamo di essere buttati fuori da questi Mondiali a calci e persino a morsi.
La responsabilità principale di questo fallimento va all'allenatore Cesare Prandelli, che essendo un uomo (nel senso sciasciano), alla fine della partita ha annunciato subito le dimissioni. Le colpe di Cesare? Non tanto quello delle scelte, alla fine questo passava il convento del calcio italiota (l'italiano del New Jersey Rossi era effettivamente infortunato). Ma quello di non essere riuscito ad entrare nell'animo di questi 22 ragazzi un po' troppo viziati (scusate 20, risparmiamo sempre Buffon e Pirlo), per riuscire a scuoterne il carattere alla vigilia di questa partita con l'Uruguay. Prandelli avrebbe dovuto compiere il "miracolo" e far dimenticare ai suoi giocatori di essere italiani. Proprio così. Quel pareggio "a disposizione", si sapeva già, era una tentazione troppo debilitante per degli italiani. A Prandelli il "miracolo" non è riuscito, quello di trasformare i suoi azzurri in… polacchi! Già, come quelli del 1974. Anche a quella squadra polacca sarebbe bastato il pareggio con l'Italia per passare. E invece vinsero, 2-1 (gol di Szarmach e Deyna, poi l'inutile sussulto di Capello). Prandelli ieri invece dalla panchina aveva quello sguardo, ancor prima che gli Azzurri andassero sotto, di colui che immaginava cosa stesse arrivando. E allora il mister azzurro, dato che non ha saputo far dimenticare ai suoi ragazzi, almeno per 90 minuti, di essere italiani in modo da poter vincere anche quando si può pareggiare, ha almeno subito lui dimenticato di esserlo, un italiano. E si è dimesso. Chapeaux Prandelli. Nella disfatta, almeno l'onore di Cesare è salvo.
Qui sotto il video di come abbiamo visto e sofferto la partita Italia-Uruguay a New York