Negli Stati Uniti, mangiare da soli è diventato sempre più comune. Una tendenza silenziosa, ma significativa, che parla di isolamento, di nuove abitudini e di un modo diverso — forse più fragile — di stare al mondo. Secondo il World Happiness Report 2025, il numero ideale di pasti condivisi a settimana è tredici. La media americana si ferma a 7,9. Nella fascia tra i 18 e i 24 anni, un quarto ha consumato da solo tutti e tre i pasti almeno una volta in una giornata del 2023. Un dato raddoppiato rispetto a vent’anni fa.
Non è solo una questione di preferenze o mancanza di tempo. A incidere sono i ritmi di vita, sempre più flessibili e scomposti, le abitazioni ridotte all’essenziale e, soprattutto, l’invadenza degli smartphone. Il pasto, per molti, non è più un momento di condivisione, ma un gesto veloce, solitario, da consumare davanti a uno schermo. Anche quando si è circondati da altre persone.
Il dato che preoccupa è che questa abitudine ha un impatto misurabile sul benessere: condividere i pasti influisce sulla salute mentale tanto quanto il lavoro o il reddito. E non riguarda solo chi vive da solo. Anche in famiglia si tende sempre più a mangiare separatamente, ciascuno secondo i propri orari, spesso chiuso nella propria stanza. Un’abitudine che, nel tempo, ridisegna i confini della socialità.
Nel giro di pochi decenni, il pasto collettivo è passato da rito quotidiano a eccezione. Nelle mense universitarie, è ormai normale sedersi da soli, tirare fuori il telefono e mangiare in silenzio. Non per timidezza o disagio, ma per consuetudine. Così si fa. E intanto si perdono, una dopo l’altra, le occasioni di incontro.
Non è una trasformazione improvvisa. Già nei primi anni Duemila, il sociologo Robert Putnam notava come la vita comunitaria si stesse lentamente sfaldando. Ma è con la diffusione dei dispositivi mobili e il boom del lavoro da remoto che le possibilità di sedersi a tavola con qualcun altro si sono ulteriormente ridotte. Oggi, anche chi vive con altri non dà più per scontato che si mangi insieme. Ognuno per sé, quando capita.
Eppure i benefici del mangiare in compagnia restano. Chi condivide i pasti riferisce una maggiore soddisfazione di vita, livelli più alti di fiducia negli altri e una minore incidenza di ansia e depressione. Per questo alcune università americane stanno sperimentando tavoli “no phone” nelle mense: chi si siede lì accetta di riporre il telefono e, magari, scambiare due parole con chi ha di fronte. A casa, qualcuno ha ricominciato a lasciare gli smartphone fuori dalla cucina. Non per moralismo, ma per provare a recuperare uno spazio di relazione.
Non si tratta di rimpiangere un passato idealizzato, ma di rimettere al centro un gesto semplice. Mangiare insieme non è solo nutrirsi: è un modo per riconoscersi, parlarsi, esistere anche attraverso l’altro. Mangiare da soli, ogni tanto, va bene. Ma quando diventa la regola, rischia di trasformarsi in un sintomo — discreto, ma eloquente — di un disagio più grande. E forse la vera rivoluzione, oggi, passa proprio da lì: da una tavola condivisa, senza notifiche, in cui si torna a guardarsi in faccia.