“Non essere triste per le avversità della vita, perché lo spirito ha potere sul corpo e può farti ammalare sino a condurti alla morte”. Scriveva il greco Galeno, medico dell’imperatore romano Marco Aurelio, nel secondo secolo dopo Cristo, a un discepolo che abitava a Pergamo, sua città natale dell’Asia Minore, ora in Turchia. Il suo insegnamento è: non somatizzare il dolore, cioè non trasferirlo nel corpo.
E noi profani, che pensavamo che la psicosomatica fosse un’invenzione del XX secolo, dobbiamo la scoperta di questa lettera a una grecista francese: Véronique Boudon-Millot, ricercatrice al CNRS della Sorbona di Parigi. E’ la maggiore traduttrice al mondo di Galeno, di cui ci restano 108 testi che lui riuscì a riscrivere dopo che tutta la sua opera scientifica di 400 testi andò bruciata nell’incendio della biblioteca del tempio della Pace a Roma nel 191 a.C. Proprio a causa di questo fatto egli scrisse al suo discepolo dicendo che aveva perduto molti volumi, ma che non era triste perché era un filosofo. Galeno infatti aveva da giovane studiato geometria e filosofia e a soli 16 anni il padre l’aveva instradato nello studio della medicina. Questi studi gli avevano conferito una forma mentis che costituirà la base del suo approccio epistemologico alla medicina, permettendogli attraverso metodo e memoria il rifacimento delle sue opere. Infatti poi delineerà il profilo del medico ideale, che deve essere anche filosofo attenendosi a etica, logica e fisica. Véronique, che ho intervistato, mi ha raccontato che anni fa era in un archivio di Salonicco (Grecia) e ha trovato la lettera al discepolo infilata in un manoscritto. “Io sapevo che Galeno aveva scritto questa lettera contenente un breve trattato” sottolinea con accento appassionato “perché ne aveva fatto menzione in un suo libro, dicendo che aveva conosciuto uno studioso che aveva perduto tutte le sue opere in un incendio e ne era morto di dolore. Pertanto, quando egli subì la medesima disgrazia, reagì alla tristezza per non ammalarsi”. Sosteneva che la mente – o psiche o anima – era situata nel cervello, non nel cuore come si era creduto sino ad allora, ma l’intelligenza era prodotta dall’aria – o spirito o pneuma – che entra nei polmoni e crea il respiro, il nostro elemento vitale.

La biografia di Galeno di Véronique Boudon-Millot è tradotta in italiano dall’editore Carocci. “Per leggere Galeno, che non era quasi tradotto in Francia” spiega la ricercatrice “ho appreso il greco da Omero e l’arabo dai copisti del X secolo, perché molti testi non si trovano in altre lingue. Galeno è stato molto studiato nel Medioevo e nel Rinascimento in tutte le università. E’ stato anche un farmacologo illuminato. Dopo è stato messo da parte, perché la sua medicina deriva da quella di Ippocrate”.
Ippocrate, vissuto tra il V e il IV secolo avanti Cristo, è il padre della medicina occidentale. Prima di lui la conoscenza della medicina era detenuta dai sacerdoti e quindi era una faccenda di fede. I teurghi si identificavano con la propria parte divina, immortale, per conferire guarigioni ai profani. Oggi invece i profani no vax basano l’autoconvinzione di essere immortali sulla loro ignoranza scientifica.
Ippocrate delinea la teoria umorale (ripresa ora dalla psicosomatica), secondo la quale il nostro corpo è governato da 4 umori: sangue, bile gialla, bile nera, flemma. Se questi elementi – che derivano dai quattro elementi della natura, aria, acqua, terra e fuoco – sono in equilibrio nel corpo umano, c’è forza vitale che è una forza curatrice naturale, perché le malattie dipendono dallo stile di vita: movimento, dieta e alimentazione.
“La follia, che per gli antichi Greci era determinata dall’intervento degli dei, è una malattia di disequilibrio degli elementi acqua e fuoco” spiega Jacques Jouanna, professore di greco alla Sorbona e direttore della collana Budé di Les Belles Lettres, la collana di classici greci e latini più importante la mondo, con oltre mille testi pubblicati, mentre la Valla di Mondadori ne è molto distante. “Ippocrate distingue una follia depressiva da una iperattiva, la prima deriva da un umore freddo, la flemma, la seconda da uno caldo, la bile. Il messaggio è: quando lo spirito è malato, il corpo si ammala. Il rimedio per lo spirito è verbalizzare: parlare molto per equilibrare gli umori. Pertanto il temperamento o carattere è determinato dallo stato in cui il corpo si trova in un certo momento. E’ l’individuo stesso che è responsabile della propria salute: deve curarsi della propria vita. Tuttavia all’epoca di Ippocrate le malattie dell’anima non esistono ancora; essa non ha forza psicologica”. Bisognerà arrivare all’Ottocento con Freud per far emergere il ruolo dell’anima nelle malattie psichiche. Ma senza le basi gettate dalla medicina antica greca saremmo ancora tutti in fila dagli sciamani.