Bill Gates uno degli uomini più ricchi e più potenti al mondo l’aveva detto: “la prossima guerra che ci distruggerà non sarà fatta di armi ma di batteri. Spendiamo una fortuna in deterrenza nucleare, e così poco nella prevenzione contro una pandemia, eppure un virus oggi sconosciuto potrebbe uccidere nei prossimi anni milioni di persone e causare una perdita finanziaria di 3.000 miliardi in tutto il mondo”. E così è stato.
In questi giorni sono apparse, su un articolo di HuffPost, le dichiarazioni di Piergiorgio Odifreddi, matematico e storico della scienza, che ha espresso il suo disappunto nei confronti dei colleghi riguardo alla gestione comunicativa della pandemia.

Secondo Odifreddi ci sono state troppe presenze televisive e troppe dichiarazioni contrastanti da parte degli scienziati, in particolare di quelli italiani. Nel mio piccolo l’ho detto in tutte le interviste televisive e l’ho sostenuto con forza. Ma torniano a Odifreddi. Durante una conversazione con l’AGI ha dichiarato: “capisco che ci lamentiamo per quello che stiamo subendo e perdendo oggi, ma la scienza anche questa volta ha dato un’ottima prova nel proteggerci dal virus. La Spagnola fece decine di milioni di morti, il Covid ne ha fatti centinaia di migliaia. La scienza oggi è più affidabile e precisa, purtroppo gli scienziati sono uomini e per quanto ci riguarda anche italiani, il che peggiora la situazione”.
Non ha risparmiato le sue critiche ai virologi e agli epidemiologi chiamati a dire la loro nelle varie trasmissioni tv. “Hanno dato un’immagine pessima – ha affermato con convinzione – quasi mi vergogno per loro. La scienza avrebbe dovuto mostrare concordia e unanimità di giudizio, invece hanno fatto la ruota del pavone, e pur di accaparrarsi un prime time in televisione hanno detto tutto e il contrario di tutto. È vero che il virus non si conosceva, ma le stesse persone hanno cambiato idea sullo stesso argomento ogni cinque minuti”.
Il matematico ha evidenziato come il Covid non ci ha aiutati a riflettere sul nostro modo di vivere. Infatti “non abbiamo fatto nulla, vogliamo solo ritornare come prima, ma se torneremo esattamente come prima cadremo vittime di un’altra epidemia”.
Io sostengo da mesi la teoria di Odifreddi e leggendo le sue parole non ho potuto far altro che condividerle totalmente.
Il 2 dicembre si è tenuto un webinar, sulla pagina Facebook dall’Università di Messina, dal titolo “La crisi di autorevolezza degli esperti” e l’ospite d’eccezione è stato il dottor Francesco Censon, autore Rai e scrittore. Ho avuto l’onore di partecipare con un intervento a questo importante momento di riflessione organizzato dal Dipartimento BIOMORF diretto dal professor Sergio Baldari, presente insieme all’animatore dell’evento culturale professor Salvatore Settineri, e alla Pro Rettrice al Welfare, professoressa Giovanna Spatari.

In un articolo sulla rivista Prometeo dal titolo “La crisi dell’autorevolezza degli esperti – perché le persone competenti non sono più ascoltate dalla gente comune” Censon fa riferimento proprio alle motivazioni di questa decadenza. Partendo dal volume di Tom Nichols, professore di Affari Internazionali della Harvad University, dal titolo “The Death of Expertise” (ed. it. La conoscenza e i suoi nemici, 2018), viene analizzata l’avversione nei confronti dell’autorevolezza degli esperti o comunque di chi ha valide competenze. Le motivazioni vengono rintracciate in diverse componenti della società americana al punto tale che Nichols individua “la fine della competenza”. Censon evidenzia come a Nichols debba andare il nostro plauso per aver affrontato il problema, ma parlare di “fine della competenza” vuol dire scambiare il fenomeno visibile con una causa ancora invisibile. In realtà l’unica manifestazione chiara che il fenomeno sta dando è una crisi dell’attribuzione dell’autorevolezza degli esperti da parte dei non-esperti.
Censon analizza il problema sotto diversi punti di vista, offrendo per ogni tesi una spiegazione. L’articolo va ad esplorare tematiche come: la crescita dell’autostima, cosa si nasconde dietro “la competenza”, la lotta per l’egemonia della conoscenza fino ad arrivare alle conclusioni.
Nelle conclusioni Censon ci avverte che siamo di fronte a un gap di comunicazione tra gli esperti e una gran parte degli altri, i non-esperti, anche se questi “altri” non sono poi così simili fra loro.
Inoltre, Censon aggiunge: “ Il gap si manifesta in un diffuso disconoscimento della titolarità degli esperti istituzionali, per cui credo che non si possa parlare di “fine della competenza” ma, casomai, di una “crisi dei competenti”, cioè di una ridefinizione delle condizioni dell’attribuzione di autorevolezza a un soggetto competente” e ancora “Ciò che forse stimola un gran numero di persone a rifiutare la figura dell’esperto è il suo modo di comunicare: il modo in cui gli esperti intendono la loro “autorevolezza” è molto vicino all’idea di “autorità”.
Non si può non essere preoccupati, oltre che d’accordo con entrambi. Mi sono reso conto, fin dai primi mesi dell’inizio della pandemia, dei problemi relativi alla comunicazione.
In questi mesi i cittadini si sono sentiti disorientati, confusi e pieni di paura. Senza punti di riferimento certi. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump per un attimo si è sostituito ad un altro Dottore molto ascoltato, Dottor Google, e ha sparato la sua: “Vedo che il disinfettante lo distrugge in un minuto. Un minuto. Non c’è un modo di fare qualcosa di simile, iniettandolo? Sarebbe interessante verificarlo. Non sono un dottore sono qui per illustrare delle idee”. Nelle ore successive sono circolate notizie di tutti i tipi in Italia. Che dietro la sparata del Presidente Usa ci sia un predicatore e che addirittura oltre 100 persone ci hanno provato a iniettarsi del disinfettante. “L’idea di iniettare o ingerire qualsiasi tipo di prodotto disinfettante nel corpo è irresponsabile è pericolosa”, secondo l’esperto pneumologo Vin Gupta, sentito dall’Huffington Post, è “un metodo comune che le persone usano quando vogliono uccidersi”. E’ giusto partire da qui per riaffermare che la pandemia ha stravolto le nostre vite e ha sconvolto gli equilibri che pensavamo si fossero stabili. Il mondo globalizzato, ormai travolto dalla tecnologia, pensava di essere invincibile: chi avrebbe immaginato che le sorti del pianeta sarebbero totalmente cambiate per un virus killer la cui provenienza è ancora ignota? Una pandemia non ti avvisa, di certo, quando arriva.

In Italia, nella prima fase, da febbraio ai primi di marzo, gli scienziati ci hanno spiegato che non dovevamo preoccuparci, che non sarebbe successo nulla, che tutto era sotto controllo, perché in fondo avevamo a che fare con una semplice influenza o quasi. Poi abbiamo registrato un cambio di rotta. Ormai era chiaro che il mondo stava vivendo qualcosa di molto più serio e che gli scienziati non avevano soluzioni per un’epidemia completamente diversa. Non c’erano risposte, questa è la verità, sia in termini curativi, sia di intercettazione del virus e che sarebbe stato, ancora oggi rimane necessario, il distanziamento e lavarsi spesso le mani. Il confronto tra gli stessi scienziati è stato altalenante. In alcuni casi imbarazzante. Chi diceva una cosa, chi un’altra. Sono esplosi confronti a distanza che sono sembrati il riflesso non di una diversa valutazione della pandemia, ma di veri e propri scontri all’interno del mondo scientifico. Tutto questo ha pesato enormemente nell’opinione pubblica, generando una pericolosa situazione di infodemia, cioè la facilità a credere in qualunque cosa. Dalla infodemia siamo passati alla psicodemia, con le persone che hanno cominciato ad avere paura, attacchi di panico, difficoltà a dormire. Nel frattempo sono arrivati i primi provvedimenti del governo che hanno acuito l’incertezza nella popolazione. Il timore per la propria salute, il lavoro.
Non posso dimenticare gli effetti psicologici che sono seguiti all’assurda, cinica, kafchiana valutazione secondo la quale gli adolescenti e i giovani non avrebbero dovuto preoccuparsi di nulla perché a rischiare sarebbero stati solo gli anziani. Possiamo definirlo un momento veramente difficile. Come tutti gli italiani, mi sono chiesto come fosse possibile una cosa del genere, ma anche l’opportunità, aggiungo l’utilità di far passare questo messaggio. La paura che si è ingenerata è arrivata a colpire anche i bambini, che in quei giorni ancora andavano a scuola e non capivano perché avrebbero dovuto perdere i loro nonni. Bambini che chiedevano alle maestre cosa sarebbe successo. Voglio dire che è mancata del tutto non solo una gestione adeguata della crisi da un punto di vista emotivo, ma sono stati fatti errori gravi anche per ciò che riguarda l’uso consapevole delle tecnologie.
Mi è stato chiesto in molte interviste se è mancata la comunicazione scientifica e istituzionale ed io ho risposto che la prima è entrata in crisi perché la scienza non aveva una soluzione e la seconda è entrata in crisi nella gestione delle decisioni prese o ancora da prendere. Per colpa dei comunicatori? Dei giornalisti? Della politica? Non mi interessa, so soltanto che la comunicazione istituzionale non è riuscita a dare le risposte necessarie alla popolazione.
In tutto questo hanno proliferato le Fake news, fenomeno di cui mi occupo e che combatto da diversi anni. In una situazione confusa, e profondamente instabile, era scontato che le Fake news proliferassero in modo esponenziale, generando il panico tra gli internauti.
Quello che mi auguro è che i giornalisti riacquistino il loro ruolo di “Cani da guardia della democrazia” con un’opera costante di smentita delle Fake News. In questa battaglia diventa fondamentale il fact checking, il controllo delle fonti un tempo rigorosa regola dei media tradizionali. Si tratta di una vera emergenza sociale e democratica che bisogna fermare, acquisendo la consapevolezza dei rischi a cui andiamo incontro e che nemmeno immaginiamo. Tanti e troppi i motivi della crisi dell’autorevolezza degli esperti e forse è il caso che si inverta la rotta, prima di inoltrarci in una via senza ritorno.