Chiacchierare dal vivo con Sergio Bartalucci, fisico nucleare di lungo corso e dalla importante esperienza internazionale, significa sicuramente essere rapiti dalla sua grande passione per la Scienza, all’interno dei cui assiomi ha vissuto.
Fuori dai confini italiani Bartalucci si reca spesso, ma torna sempre a Roma, dove vive. E’ uno dei cervelli rimasti miracolosamente in Patria.
Senior Researcher dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) dal lontano 1982, con sede ai Laboratori di Frascati (LNF), ha lavorato in nome della Scienza per tutta la vita. Figura carismatica, assiduo frequentatore del mondo Rotary per molti anni, amante della bellezza femminile, poliglotta (conosce il francese, l’inglese e ancora di più il tedesco). Un professionista preparato e molto rispettato dai colleghi.
Laurea in Fisica Sperimentale nel 1977 presso l’Università di Pisa, agli albori della professione è ricercatore nel centro di ricerca ”Deutsches Elektronen-Synchrotron (DESY)”, di Amburgo. Negli anni 80/primi anni 90 la sua attività prevalente ha riguardato il Campo della Fisica delle Macchine Acceleratrici di Particelle, per poi proseguire nel Campo della Fisica dei Raggi Cosmici e dell’Astrofisica Nucleare. Da ricordare che nella prima decade degli anni 2000 è stato leader di collaborazione internazionale per la realizzazione di una sorgente di neutroni presso l’Acceleratore Lineare dei LNF.2010.
Esperto del MIUR dal 2002 per il settore “Ricerca e sviluppo sperimentale nel campo delle scienze naturali e dell’ingegneria”; Liaison Officer dei LNF per i servizi di Banca Dati della Nuclear Energy Agency (NEA), organo dell’OCSE, dal 2003; Scientific Reviewer delle riviste ‘Nuclear Instruments and Methods in Physics Research’, e ‘Annals of Nuclear Energy’, pubblicate da Elsevier.
In tempi recenti Sergio Bartalucci si è dedicato a numerose attività sperimentali tra cui il Progetto Italo-Russo (INFN-Kurchatov Inst.) IGNITOR, che intende dimostrare la fattibilità della fusione nucleare controllata. Il Nobel? Mai dire mai…

Dottor Bartalucci, lei è attivo nel settore della Ricerca e autore di oltre 100 articoli su riviste internazionali, di un centinaio di comunicazioni a conferenza e numerosi rapporti tecnici. Essere un fisico nucleare al giorno d’oggi, che cosa significa? Quali sono gli oneri e gli onori di una simile professione in epoca di modernità liquida?
“Per quanto mi riguarda, posso solo dire che oggi la professione di ricercatore in fisica nucleare è molto diversa da quella di 40 anni fa, quando ho cominciato. La ricerca in questo periodo di espansione del settore si è incentrata su acceleratori di particelle sempre più grandi e sofisticati e su apparati sperimentali sempre più complessi, che hanno comportato una crescente specializzazione dei ricercatori, cui si richiedono professionalità e competenze sempre più orientate. Oggi però questa corsa alle alte energie sembra arrestarsi, per ragioni scientifiche e non solo di sostenibilità dei costi elevatissimi, e c’è spazio per ricerche su scala più piccola, purché finalizzate ad obbiettivi concreti, che abbiano un ritorno tecnologico. Così accade che la ricerca finalizzata alla produzione di energia pulita da reazioni nucleari a bassa energia (LENR) riceva oggi una considerazione dall’Accademia che finora le era state negata, al punto da meritare un robusto finanziamento dalla Commissione Europea. Ad un progetto internazionale in questo settore, denominato CleanHME, sto attualmente partecipando”.
Parlando di prospettive della Ricerca nel nostro Paese, cosa può rivelarci? Lei è uno di quelli che è riuscito a non fuggire all’estero.
“La professione del fisico offre al giorno d’oggi scarse prospettive in Italia; il precariato è una condizione permanente come lo era 40 anni fa, con la differenza che allora c’erano maggiori possibilità di espansione (io sono stato tra i fortunati che è potuto rimanere a lavorare come ricercatore in fisica non abbandonando il proprio Paese); va anche detto che la professione privata non è praticabile, salvo rare eccezioni, nonostante la recente istituzione di un albo professionale. Occorre precisare che l’Università italiana, pur offrendo ancora un buon livello formativo ai nostri giovani, non è in grado poi di guidarli nel processo d’inserimento nel mondo produttivo, soprattutto per una mentalità accademica legata a vecchi stereotipi.
Un drastico riassetto di tutto il comparto della Ricerca pubblica sarebbe d’importanza cruciale, e solo dopo questo si dovrebbe procedere ad un aumento consistente delle risorse umane e finanziarie”.

Per addetti ai lavori ma soprattutto per coloro che non lo sono, come (e proviamo ad ipotizzare anche il quando) lei pensa che arriverà la risoluzione di questa difficile emergenza sanitaria Covid19 che stiamo vivendo? Quale, come uomo di scienza, il contributo di pensiero che sente di esternare?
“Non sono ottimista al riguardo. Se confrontiamo con altre epidemie – recenti o meno – la facilità del contagio, moderata per fortuna da una letalità molto bassa, fa rassomigliare questa sindrome da Covid19 a quella dell’influenza stagionale, per la quale si è trovato sì un vaccino, ma dopo molti anni e, come noto, produce un’immunità solo annuale. Personalmente non mi sottoporrei ai vaccini che saranno disponibili a breve, perché non testati a sufficienza; ritengo più valido, benché di efficacia limitata nel tempo, il trattamento con anticorpi monoclonali. Temo che ci dovremo abituare a convivere con questo virus ancora per qualche anno, come del resto siamo abituati a fare con altri virus che ormai non fanno più notizia. Non essendo medico né biologo e quindi non avendo competenze specifiche nel settore, non posso esprimermi sugli aspetti più tecnici dell’emergenza sanitaria e debbo limitarmi a considerazioni sia di carattere statistico (la Statistica è materia che invece conosco bene), sia di carattere più generale, che riguardano i danni collaterali della pandemia, e che colpiscono beni non meno importanti della salute, quali la libertà individuale e il benessere economico. A tal proposito ho tempo fa pubblicato a mia firma un articolo sui falsi positivi e anche uno sull’incertezza scientifica; non ultimo, ho parlato sui media in prima persona anche del principio di precauzione nell’epoca del Coronavirus. Vi invito, insomma, ad approfondire il mio pensiero seguendo l’Associazione di Scienziati e Tecnologi per la Ricerca Italiana di cui sono Presidente (n.d.r.: ASTRI) al sito ufficiale scienzanazionale.it e alla pagina Facebook “