I Social Network e gli strumenti tecnologici ad essi connessi sono ormai i luoghi prevalenti di costruzione identitaria. Dove definire anche la propria intimità, sessualità, genere. Assistiamo ad una vetrinizzazione delle identità e delle relazioni. I social sono il luogo dove si realizza: la proiezione che ciascuno vuole dare di sé stesso, e dove gli altri ci ridefiniscono attraverso il loro gradimento. Ma ormai sono i luoghi virtuali o non luoghi dove possono essere influenzate le nostre decisioni, i nostri comportamenti e le nostre scelte. E così una ricerca rivela che i social media e soprattutto Facebook ha dato manforte, senza volerlo, ai NoVax per campagne contro l’uso del vaccino per il papilloma virus umano HPV, il patogeno associato a verruche genitali e sei diversi tipi di cancro.
Una ricerca molto interessante pubblicata su Vaccine, elaborata dall’Università del Missouri, relativa all’analisi di più di 6.500 post pubblici sul vaccino HPV nei 10 anni successivi all’approvazione della procedura immunizzante da parte della Food and Drug Administration, avvenuta nel 2006. Monique Luisi della Missouri School of Journalism dell’Università del Missouri ha spiegato che “i Centri per il controllo delle malattie e la prevenzione (CDC) stimano che siano più di 80 milioni gli americani che hanno contratto l’HPV e che ogni anno si verifichino più di 14 milioni di nuovi casi”.
Secondo la ricercatrice il 45 per cento dei post presi in esame aveva un tono negativo nei confronti dei vaccini e di chi si sottoponeva alla procedura. “Nel corso di un decennio – ha detto la Luisi – abbiamo identificato anche un atteggiamento negativo su Facebook che riguarda il modo in cui le persone percepiscono il vaccino, la sua sicurezza e la sua efficacia e il legame del vaccino con il comportamento sessuale”.
“Questi post – prosegue la ricercatrice – sono stati di incoraggiamento per messaggi simili: se i post negativi possono spingere le persone a pubblicare altri contenuti simili, è possibile dedurre che le persone sono in parte influenzate dagli stimoli che recepiscono sulle piattaforme social”.
Viene fuori uno spaccato da questa ricerca allarmante. Un problema del pianeta su cui vale la pena di riflettere.
L’aspetto dell’etica è quello più delicato e pieno di implicazioni. La disintermediazione ci ha illuso di poter agire senza regole, convinti di essere al centro, dotati di potere. Le regole sono invece un pilastro fondamentale.
Consentono di attuare un processo di interiorizzazione che porta anche all’evoluzione delle regole stesse. La tecnologia non è processo, non è messa al servizio della conoscenza, è strumento di connessione ma non è elemento di supporto alla costruzione della conoscenza. Così resta opaca, non si realizza quella trasparenza che ci consente di osservare sviluppando senso critico. L’aspetto dell’etica è quello più delicato e pieno di implicazioni.
La disintermediazione ci ha illuso di poter agire senza regole, convinti di essere al centro, dotati di potere. Le regole sono invece un pilastro fondamentale. Consentono di attuare un processo di interiorizzazione che porta anche all’evoluzione delle regole stesse. Bauman parla di comunità guardaroba, sottolineando la provvisorietà delle relazioni e un consumismo emozionale. Stiamo entrando in un ambito di grande provvisorietà che si caratterizza per un uso delle relazioni piuttosto che di un processo di costruzione di relazioni. Ciò significa di fatto consumo delle stesse che vengono scartate quando non più corrispondenti ai propri desiderata, con la conseguenza del concretizzarsi di quelle comunità guardaroba.
Siamo di fronte ad una sfida di rilevanza globale che può essere realizzata solo se si da vita ad una nuova costruzione autonoma di significato. Bisogna innescare un nuovo processo culturale che deve investire la politica, il mondo dell’informazione, il sistema dell’istruzione e della conoscenza. Se ciascuno riesce a recuperare il proprio ruolo e torna a guidare il processo, costruendo nuove regole e non semplicemente adottando regole e strumenti che l’industria del web (e quindi in parte della disinformazione), realizza per alimentare il proprio business, allora sarà possibile invertire l’attuale tendenza. Solo la cultura e gli strumenti d’interpretazione possono sostenere gli individui e la società nel suo complesso