Abbiamo scoperto la distanza di sicurezza. Stiamo imparando a prendere le distanze. Dal prossimo. Ma davvero? Perché prima stavamo vicini vicini? Siamo degli ipocriti. Quando mai siamo stati vicini al prossimo? Ama il prossimo tuo come te stesso è il comandamento cristiano più disatteso.
Certo, stavamo gomito a gomito nei bar, spingevamo in fila, eravamo accalcati ai concerti, in spiaggia, addirittura mangiavamo dallo stesso piatto arrivando a leccare il medesimo cono gelato, ma questo non significa stare vicini. Questo significa avere bisogno di provare una sensazione di appartenenza collettiva quasi sia un sentimento di identità individuale. Toccarsi per riconoscersi persone, sfiorarsi per sentirsi amati. Abbiamo confuso il sentire con il fuori dal sentire con il dentro, non abbiamo saputo più distinguere la tangibilità corporale dalla percezione psichica, il provare fisicamente dall’avvertire emozionalmente, il corpo con il cuore.
Vicinanza non significa stare fisicamente vicini, ma essere trasportati emotivamente verso un’altra persona. Emozione viene dal latino emovere, far uscire fuori, smuovere, scuotere, sconvolgere. E’ una spinta che ti nasce da dentro istintivamente e che ti trasporta verso l’altro; mica succede con ogni persona. E se non succede mai, sopperiamo con il ragionamento elencando a noi stessi le qualità di quella persona per farcela piacere, mentre in verità non ci piace affatto, perché “non ci dice niente”: non parla al nostro animo.
I Latini per dire emozione dicevano animae motus, moto dell’anima: ecco spiegate in due parole tutte le perifrasi fatte.
Un neonato sente amore, noi spesso no. Soffriamo di alessitimia, cioè di analfabetismo emotivo: non abbiamo consapevolezza emotiva per riconoscere i nostri stati emotivi, siamo incapaci di provarli o anche solo di descriverli. Come è potuta succedere questa regressione? Perché non sappiamo distinguere tra emozioni e sentimenti e preferiamo sentimenti senza turbamenti? Il discorso sarebbe lungo e ci sono varie teorie psicologiche. Ma il fatto è che ci è venuta a mancare la propria risposta a uno stimolo. Non percepiamo. In compenso ci affidiamo alla comunicazione virtuale e dispensiamo emoticon social per dimostrare quanto amiamo o soffriamo. Falsità che ci fanno credere di essere buoni, rassicurano la nostra ansia da vuoto interno.
Abbiamo sempre mantenuto le distanze: politiche, familiari, comunitarie, amorose se qualcuno non ci piaceva. Non ci piaceva perché non tifava per il medesimo leader politico, non ci dava quello che chiedevamo, non era utile ai nostri interessi, deducendo che non ci voleva bene. Quindi non meritava il nostro amore. Disprezziamo l’avversario, che è chi professa un’idea diversa dalla nostra, in quanto riteniamo che non sia dei nostri e lo annoveriamo subito tra i nemici da odiare. Pensiamo che la vita sia un’eterna partita di calcio e che chi non è dalla tua parte è contro di te e merita di esser preso a calci.
Nemmeno durante questa pandemia in Italia destra e sinistra riescono a dialogare, figurarsi stare unite e coese come esorta il presidente Mattarella.
Finalmente dimostriamo quello che siamo attraverso la distanza di sicurezza imposta: che non siamo capaci di autodeterminarci differenziandoci, posizionandoci dalla parte che riteniamo più consona al nostro sentire. Siamo persone senza qualità se non siamo capaci di scegliere per noi stessi, come di rispettare l’avversario, solo perché la pensa diversamente da noi.
Tutti ad avere il medesimo leader come gli stessi vestiti, cibi, auto, viaggi… perfino il partner doveva essere uniformato ai canoni imposti dal marketing pubblicitario/politico. Uniformare è stata la parola d’ordine per controllarci meglio. Spero che questa distanza imposta ci insegni almeno a prendere le distanze dagli influencer: esibizionisti senza qualità che molti hanno cercato di imitare, mettendo il cervello nella cantina delle inutilità. L’umiliazione di copiare un personaggio senza valore che si pone al di sopra della massa per farci acquistare cose di valore e inutili; è pagato per questo.
E cantiamo come Domenico Modugno cinquant’anni fa: “La lontananza, sai, è come il vento, spegne i fuochi piccoli e accende quelli grandi…” Impareremo a non bruciare più la nostra vita sconsideratamente.