Per anni, molti vescovi cattolici statunitensi hanno concentrato il loro impegno pubblico sulla lotta all’aborto. Hanno sostenuto Trump per la sua opposizione a Roe v. Wade, criticando i politici cattolici che difendevano il diritto all’interruzione di gravidanza. Ma oggi, sempre più voci all’interno della Chiesa stanno cambiando direzione.
Ma oggi qualcosa sta cambiando. Sempre più vescovi richiamano l’eredità di papa Francesco — e ora anche di papa Leone XIV — per denunciare le deportazioni di massa e l’inasprimento delle politiche migratorie. Non è un cambiamento marginale: si tratta di una delle più visibili rotture tra la leadership ecclesiastica e l’ala politica che per anni ha corteggiato il voto cattolico con il vessillo dei “valori non negoziabili”. “La realtà sta diventando sempre più inquietante,” ha dichiarato il cardinale Robert W. McElroy da Roma. “Non è più possibile fingere che queste deportazioni siano mirate: è una caccia generalizzata a chi non ha documenti.”
McElroy, nominato arcivescovo di Washington da papa Francesco, è tra i volti di questa nuova linea. A lui si sono uniti il cardinale Tobin di Newark, l’arcivescovo Gomez di Los Angeles e numerosi altri prelati.
Al centro delle critiche c’è anche un provvedimento legislativo che porta il segno diretto di Trump. Il disegno di legge, attualmente in discussione al Congresso e sostenuto dal presidente e dai suoi alleati, prevede un vasto pacchetto di misure interne: da un rafforzamento dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) con miliardi di dollari aggiuntivi, fino all’introduzione di nuove restrizioni sull’asilo, alla costruzione di ulteriori sezioni del muro al confine sud e all’eliminazione di diverse protezioni legali per i migranti, inclusi i minori non accompagnati.
Sebbene il testo contenga anche disposizioni anti-aborto — teoricamente in linea con la dottrina cattolica — molti vescovi lo giudicano inaccettabile per il suo approccio disumanizzante all’immigrazione. “Questo non è un piano di governo,” ha scritto l’arcivescovo José H. Gomez di Los Angeles. “È punizione. E come tale, genera solo sofferenza e disumanità.”
McElroy, Gomez, Tobin e altri prelati di primo piano hanno firmato una lettera interreligiosa al Senato, esortando i legislatori a respingere il testo. Secondo la missiva, l’approvazione del disegno di legge rappresenterebbe “un fallimento morale per la società americana”.
Negli Stati Uniti, la relazione tra Stato e religione è sempre stata ambivalente. La Costituzione stabilisce che “il Congresso non istituirà alcuna religione”, ma allo stesso tempo le istituzioni religiose ricevono esenzioni fiscali, le scuole confessionali possono ottenere fondi pubblici e i presidenti giurano sulla Bibbia.
Negli ultimi anni, la Corte Suprema — influenzata proprio dalle nomine volute da Trump — ha spostato l’interpretazione del Primo Emendamento verso una difesa più aggressiva della “libertà religiosa”, soprattutto quando invocata da gruppi cristiani conservatori. Il risultato è stato una serie di sentenze che hanno ampliato l’accesso ai fondi pubblici per scuole religiose e limitato le restrizioni alle attività di culto, anche in contesti come la pandemia.
In questo contesto, la presa di distanza dei vescovi americani rappresenta un potenziale scossone. Il distacco non sarà indolore. Molti cattolici continuano a sostenere Trump: nel 2024 ha ottenuto la maggioranza dei voti cattolici, inclusi il 41% degli ispanici. Ma la voce dei vescovi, unita all’esempio di papa Leone XIV, potrebbe cambiare la narrativa.