In un mondo in cui quotidianamente sentiamo parlare di diritti umani, di accoglienza a tutti i costi, di carovane di migranti manovrate da chissà chi e molto altro ancora, ci sono alcuni temi che restano tabù, non hanno risonanza mediatica o perlomeno non esercitano appeal sulle masse, ne tantomeno sulle élite intellettuali di cui parlava un certo Vilfredo Pareto (genio dell’elitismo) anni orsono, in quanto ritenuti poco chic. Tra questi temi caldissimi ed ignorati al contempo, spicca sicuramente la persecuzione costante e senza sosta che subiscono i Cristiani ai quattro angoli del mondo.
L’argomento, che già suona strano in quanto mentalmente e culturalmente non siamo portati a pensare che un Cristiano possa essere perseguitato ne tantomeno fucilato, riguarda un numero esorbitante di persone. Trecento milioni di Cristiani, 300 milioni di persone che per via della propria fede subiscono persecuzioni di ogni tipo.
Tanto è emerso da un rapporto presentato da una delle associazioni più autorevoli in materia, l’ACS (Aiuto alla Chiesa che Soffre) all’interno dell’ambasciata italiana presso la Santa Sede.
Sebbene i numeri snocciolati sono da far accapponare la pelle, il dato più inquietante di tale rapporto riguarda lo mole di Paesi, alcuni insospettabili, in cui essere Cristiani comporta una vita difficile nel migliore dei casi, carcere o pena di morte in tanti altri. 38 Paesi alle più diverse latitudini del pianeta. Un numero talmente importante che può essere riassunto con un’immagine emblematica: il 61% della popolazione mondiale vive in Paesi i cui governi discriminano, perseguitano o ammazzano i Cristiani.
Per quanto possa sembrare assodato che Arabia Saudita, Afghanistan e Somalia, non siano Paesi aperti alla libertà di culto e ove sei può professare soltanto un credo, quello islamico, all’elenco dei Paesi che guardano con sospetto, con odio, chi indossa una Croce, si possono aggiungere: l’India (dove il fondamentalismo islamico ha creato una preoccupante breccia nelle aree metropolitane) , la Cina comunista che addirittura impedisce la vendita della Bibbia, la Birmania inondata di sangue dagli estremisti extraparlamentari, la Nigeria dove Boko Haram macella centinaia di persone ogni mese, il Qatar sospettato di collusione con vari gruppi fondamentalisti islamici tra cui Isis e Al Qaeda, la Turchia di Erdogan in cui essere Cristiani equivale a perdere casa e lavoro, la Corea del Nord di Kim Jong Un che li reputa una minaccia al regime, le modaiole Maldive che tanto ci piacciono per le vacanze e che incarcerano chi indossa simboli Cristiani, l’Algeria e la Libia, l’Eritrea e il Laos, l’immancabile Palestina, sempre ben protetta dalle organizzazioni internazionali quando si parla di Israele ma su cui si chiude un occhio quando i Cristiani saltano in aria per colpa di quei criminali di Hamas. E l’elenco può andare avanti con Mauritania, Mali, Indonesia, Venezuela, Pakistan, Vietnam e tanti altri.
Dov’è la comunità internazionale in tutto questo? Dove sono le marce per la pace, gli inutili gessetti colorati, i ridicoli girotondi e le sterili chiacchiere di un’intera classe politica occidentale ed in particolar modo europea? Chi accoglierebbe questi Cristiani perseguitati nella Vecchia Europa o in Nord America? Forse rifugiato è una parola che funziona con allarmante alternanza? Probabilmente si.
La decadenza etica, morale e culturale di una civiltà, la si riconosce nei piccoli gesti quotidiani. Dal non cedere il posto in subway ad una donna incinta, al rispetto ossequioso del pensiero comune unico (spesso imposto dai mass media) onde evitare ripercussioni sociali, fino a chiudere gli occhi e tacere dinanzi alle ingiustizie perpetrate ogni giorno a danno di coloro che non sono considerabili spendili politicamente e pertanto inutili ai fini di certa gente. Poco importa se si parla di donne, uomini e bambini che vengono trucidati e buttati in una fossa. Poco importa se quella fossa giace a pochi metri dalla spiaggia dorata in cui beviamo Banana Daiquiri per sentirci giusti. Nell’era dell’edonismo quel che conta sono I followers che attraggo postando mete esotiche, gli affari che posso chiudere con quei governi che hanno le mani sporche di sangue e l’essere accettato per quel che mostro, non per quel che penso e sono. Chi se ne importa delle menti e degli occhi che rischio di aprire scrivendo un pezzo, alla meno peggio come il mio, ma almeno spinto dalla rabbia e dall’orgoglio.
Quella stessa rabbia e orgoglio di cui parlava Oriana Fallaci, in uno scritto che per l’appunto non seguiva i dettami del politically correct, ma anzi andava in scontro frontale col perbenismo e l’ipocrisia della nostra decadente società. La Fallaci fu costretta a continuare il suo esilio volontario in quel di New York per le sue crude ed illuminate parole. Quella stessa New York che oggi ha perso in parte quel senso di accoglienza o meglio, si prefigge di accogliere tutti e a tutti i costi, ma al contempo non fa scalpore se un rabbino viene picchiato per strada da un tassista bengalese per via della sua fede. Anche in questo New York, come sempre nel bene e nel male, esprime egregiamente lo stato in cui versa la società occidentale.
Forse perché sono testimone di cosa può accadere a un Cristiano in Libia o in Nigeria, che certi argomenti mi colpiscono di più. O forse perché me ne sbatto del pensiero comune unico e scrivo di quel che voglio come meglio posso.
Ma quei trecento milioni di persone che ogni giorno vivono condizioni disumane a causa della Croce in cui credono, rappresentano la decadenza della più illuminata civiltà che la storia abbia mai avuto. L’Occidente dell’Illuminismo, della libertà di fede ed espressione, dei diritti umani e del rispetto per la vita, oggi si trova ad annaspare, quasi ad annegare, in un mare di ipocrisia, politically correct e calcoli elettorali.
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