A Monopoli, che è un paese non un gioco, si è svolto un gioco crudele: due ragazzi minorenni hanno spinto giù dalla scogliera due anziani. Uno è morto. Il vecchio è vecchio e va gettato via.
E’ malata la gente. E’ malato il sistema Paese che fomenta l’odio generazionale. Il pensiero è malato perché l’anima è malata. Forse è già morta. Siamo corpi privi di anima. Quella che i greci chiamavano psiche non è solo mente, se non vogliamo trasformarci in intelligenze artificiali, robot. Non c’è anima senza amore: sono indissolubilmente legati. Infatti gli psicopatici, mancano d’anima e non possono amare, sentire, provare emozioni ed essere portatori di valori universali. Siamo andati oltre e siamo regrediti. Come è potuto succedere?
“Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum” scriveva Orazio nelle Satire. Traduzione: “V’è una misura nelle cose: vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto”. Ho riportato la sentenza in lingua latina per enfatizzare che il poeta Orazio, che ci ha trasmesso il senso del limite, è vissuto duemila anni fa ed è morto otto anni prima della nascita di Cristo. Tanto per ambientarci.
Il mio professore di latino del liceo ogni due per tre ci ripeteva “est modus in rebus”, in modo che non alzassimo la cresta. Quella del gallo. Che sta poco a farla ruotare trasformandosi in un pavone. La vanità poi gli fa credere di essere un’aquila, ma spesso conserva l’intelligenza di un pollo. Ecco allora che per evitare di finire in pentola, se proprio non è un allocco, si trasforma come un camaleonte e, dovendo sopravvivere in un mondo di lupi, sceglie di essere o una iena o uno squalo. Ovviamente si ciberà di galline, sue simili, oppure di pecore, sue seguaci. Così va il mondo. Ma rimane un pollo che non riesce ad innalzarsi da terra.
Conoscere la misura delle cose significa avere il senso del limite: sapersi misurare è sapere dove si può arrivare. Certo si deve osare sempre, ma prima bisogna conoscersi. “Conosci te stesso” stava scritto sul frontone del tempio del dio Apollo a Delfi. Autocritica non significa mancanza di autostima. Eppure sembra che nell’ignoranza imperversante ogni insegnamento morale sia superfluo e che i confini esistenziali siano permeabili perché sono l’accesso per entrare nella meravigliosa fiction che reputiamo sia la nostra vita. Crediamo dunque che passare di qua e di là, calpestando i limiti, sia la sfida che ci attende per raggiungere prestigio e ricchezza. C’è chi lo fa nel lavoro, chi nel sesso, ma è sempre un esercizio di potere, che dimostra solo il proprio valore di prestigiatore, ossia di imbroglione. Sono il più bravo, il più forte, il più furbo, il più importante… Ma rimani sempre un Pinco Pallino. Perché quanto hai ottenuto, l’hai ottenuto senza valore.
Il valore non è il prezzo di qualcuno, non è rapportabile a una cifra di denaro, ma – come scrive il vocabolario Zanichelli – “il complesso delle qualità intellettuali e morali o delle qualità professionali per le quali una persona è degna di stima”. Una volta era sinonimo di virtù, parola orami desueta che deriva dal latino vir, uomo. Ecco il problema: gli uomini non sono più. Si sono trasformati in altro. Quindi non sono più umani. Non hanno i valori degli esseri umani, ma di animali, maghi, replicanti, robot. Sono finiti nella fantascienza. Becera letteratura che non trasmette alcun insegnamento etico, come l’onore, il valore, la dignità. Virtù generate dall’integrità morale e dal rispetto di se stessi.
La nostra civiltà è al collasso: abbiamo fatto un percorso a ritroso cancellando secoli di conquiste umane per vivere comodamente nella fantasia dell’ignoranza. Questo il medioevo prossimo venturo dove scorre molto sangue, come negli orridi film di fantascienza, e tutto è possibile: si possono attraversare spazio e tempo quasi si fosse dei. Ma si vive e si muore come animali.