La moda codifica l’aspetto e il comportamento di una comunità sociale secondo il gusto particolare del momento, l’eclettismo è la regola per sopravvivere al sistema poiché non è più tempo di stravaganza, esibizione ed eccesso. Il 2020 è un anno particolare scandito da ansie, preoccupazioni, blocchi, chiusure e oggettive perdite di fatturato. Nel primo semestre si è registrato un calo del 30% nel settore tessile e constatando che l’Italia generalmente detiene il primato di guadagno del 40% in Europa, i livelli raggiunti non sono proprio rassicuranti.

Tuttavia a Milano la fashion week è ripartita con 159 appuntamenti: 64 sfilate di cui 23 fisiche e 41 digitali, 73 presentazioni di cui 37 fisiche, 24 digitali, 22 su prenotazione e infine 22 eventi in forma ristretta. Un’edizione ibrida in cui si premia la sperimentazione delle piattaforme online e dei social media (in prima linea tik tok) per avere un’interazione diretta con un pubblico dinamico, si riconferma il principio del “non spreco” e il ritorno del patchwork, si alimenta il concetto di casa con valori e virtù. Fendi, infatti, ha spedito come invito per il défilé un pacco di pasta Rummo abbinato alla ricetta di pesto al limone della nonna. La sfilata si è svolta in un ampio spazio delimitato da tende immacolate e ombre di finestre dove silhouette a clessidra in stile anni quaranta si contrappongono a maxi volumi con giacche imbottite. Le forme sono caratterizzate da linee fluide e colori pastello conferendo un senso di purezza e serenità. Il tema essenziale è lo scorrere del tempo, la storia delle generazioni e la voglia di convivialità. Lo stesso pensiero, ma in formato video, è stato condiviso da Luisa Beccaria in cui si riporta la vita bon ton e rurale della campagna di Castelluccio. Le donne di famiglia indossano abiti in cotone con cintura legata in vita alternati a mini dress in sangallo o macramè e sottovesti con ricami di fiori in 3D. Immancabili anche i dettagli in chiffon e le balze che sottolineano l’eternità del brand.
A proposito di DNA, Dolce & Gabbana rispolvera la propria storia creando un patchwork di animalier, pois, damascato oro, fiori e maioliche. Questo è un classico della griffe, un attaccamento smisurato per la Sicilia e un mix di epoche, volumi e misure.

Anche Max Mara pensa alla ricostruzione partendo dal passato inteso come Rinascimento e come boom economico quindi un’estetica del patchwork funzionale e artigianale dettata da tailleur, trench, spolverini e camicie semplici. È invece futurista la posizione di Prada con una sfilata interamente in streaming divisa in due momenti: la presentazione degli abiti e l’aspettato fervente talk show del nuovo duo capitanato da Miuccia Prada e Raf Simons che rispondono a domande poste sui social. Lo scenario presenta uno studio televisivo asettico e monocromatico con telecamere impiantate e modelli che camminano in tuniche coordinate a pantaloni con il logo riconoscibile della maison, i cappotti sono decostruiti, i maglioni sono i classici con scollo a V, il nylon è sempre il padrone indiscusso, i colori sono basici. «Occorre ripartire dall’inizio per comprendere l’essenza e il percorso che si vuole affrontare insieme» queste le parole degli art director che augurano continua prosperità del marchio basando un rapporto tra dialogo e confronto al fine di esplorare nuove prospettive.

GCDS, invece, ha sposato un mood fantascientifico con una catwalk e personaggi pupazzi in 3D realizzati dagli ingegneri USA di Emblematic Group. I capi sono stati disegnati e realizzati in versione cartamodello poi digitalizzati in tecnica ”mesh” capace di dare una resa virtuale ai pesi dei tessuti, ai riflessi e ai movimenti. I pezzi must have sono i pantaloni a vita bassa e costumi da bagno provocanti. Ragazzi sarà questa la vita fra cinquant’anni? Non è detto e monsieur Armani riporta tutti con i piedi per terra proponendo il suo fashion show in prima serata su LA7. Sicuramente è un’idea semplice e democratica accessibile a tutti dalla signora in vestaglia sul divano all’impaziente e irrefrenabile teenager. Lo spettacolo è scandito da un documentario che racconta lo stile della maison, un percorso storico di codici estetici per poi descrivere la PE21 con un nude look ed un minimalismo casual contraddistinto da una sartoria decostruita, morbide consistenze e capi timeless.

Infine il ritorno di Valentino in Italia con la sua ricerca del bello, il saper ascoltare il mondo facendo propri i sentimenti e credendo ancora che dal cemento possono nascere dei fiori. Una simbologia già assodata che rispecchia la vita odierna attraversata dalle difficoltà e dalla convivenza con il covid19 contrapposta però alla speranza e alla poesia. Di conseguenza gli outfit hanno linee semplici, sono asciutti e in tinta unita azzardati da stampe floreali e borchiette, leitmotiv del brand. Le camicie sono ampie abbinate a shorts, il pizzo è un tessuto che non può mai mancare.
Dunque si ricomincia dalle piccole cose, da mondi onirici in color pastello, dalla riscoperta del vecchio e dell’usato associato al nuovo e all’inesplorato per comprendere sempre più se stessi.