Leonard A. Lauder, figura iconica dell’industria della bellezza e artefice della trasformazione di Estée Lauder Companies in un colosso globale, è morto all’età di 92 anni nella sua casa dell’Upper East Side, a New York. Con la sua scomparsa si chiude un capitolo fondamentale della storia del beauty business internazionale.
Figlio maggiore di Estée Lauder, nata Josephine Esther Mentzer nel Queens da immigrati ungheresi e boemi, Leonard seppe dare forma al sogno della madre. L’azienda nacque nei primi anni ’40 in una cucina newyorkese, dove Estée mescolava creme e lozioni basandosi su ricette familiari. Vendute inizialmente nei saloni di bellezza e nei negozi locali, le sue formule conquistarono presto un seguito grazie alla qualità e all’eleganza della presentazione.

Dopo aver completato gli studi alla Wharton School e alla Columbia, Leonard entrò in azienda nel 1958. In pochi decenni, quel nome inciso sulle confezioni color avorio sarebbe diventato un impero globale.
Fu lui a intuire per primo che la bellezza doveva viaggiare. Dalla Fifth Avenue ai banchi di Harrods a Londra, dalle passerelle di Parigi alle boutique di Tokyo, Lauder portò la cosmesi nel mondo. Ma il suo genio andava oltre: Clinique, creato sotto la sua guida, fu il primo marchio dermatologicamente testato, pensato per le donne moderne. E poi gli acquisti visionari: MAC, Aveda, Bobbi Brown, La Mer.

Ma Leonard Lauder non è stato solo un industriale. Uomo di cultura, mecenate, collezionista d’arte, nel 2013 donò al Metropolitan Museum of Art di New York una collezione cubista stimata oltre 1 miliardo di dollari, con opere di Picasso, Braque, Léger e Gris. Sostenne musei e fondazioni, promosse la ricerca scientifica, in particolare nel campo dell’Alzheimer e del cancro al seno.
Amava ripetere che “il rossetto è il più piccolo lusso con il più grande impatto” , una frase che racchiudeva la sua filosofia: la bellezza come forza interiore.