di una dimensione del tempo e dello spazio, polifonico policromo polidimensionale le piattaforme virtuali stabiliscono il tempo, creano veridicità all’interno di frame costruiti per “sostituire” il reale con la sua rappresentazione.
Un articolo pubblicato su RaiNews, scritto da Fabiana Cofini, riporta l’indagine condotta dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) in collaborazione con Skuola.net, portale di informazione dedicato agli studenti, su un campione di 1.668 giovani tra i 9 e i 19 anni.
Il report evidenzia che: “Il 44% dei ragazzi tra i 9 e i 19 è iscritto a tre social network (Instagram, TikTok e YouTube i più gettonati) e li utilizza per due o tre ore al giorno. Il 73% li usa soprattutto per guardare i contenuti altrui, il 34% ha creato profili fake per controllare chi li ha bloccati o per fare nuove conoscenze senza mostrare la propria identità”.
Il nostro vivere in rete ci consente di relazionarci con il pubblico che ci segue. I giovani, e ormai anche gli adulti, sono quasi sempre in cerca di consenso, di approvazione e soprattutto di influenza.
Tanti i giovani che decidono di diventare Influencer, TikToker o YouTuber. Queste sembrano essere le nuove professioni del futuro. Basti pensare che l’influencer australiana Kat Clark, premiata nel 2022 come Content Creator dell’anno, ha ritirato la figlia 12enne da scuola, perché “deve concentrarsi sulla carriera da influencer”. La notizia ha suscitato non poche polemiche e si discute tanto su quei genitori che permettono ai loro figli di diventare “baby influencer”.
In questa delicata fase di transizione sembrano prevalere le parole d’ordine del nuovo marketing: credibilità dei testimonial, influence, collaborazione con i fan e autonomia. Secondo gli studiosi americani l’immagine prevale su tutto e Youtube e Instagram diventano luogo per reinventare sé stessi.
L’audience prevale sul pubblico, e la diffusione di contenuti sembra seguire la teoria dello sciame di locuste, seguiamo colui di cui ci fidiamo, piuttosto che operare delle scelte critiche sulla base di un percorso di conoscenza che fa degli individui pubblico e non più spettatore.
L’Associazione Di.Te. ha rilevato che il 75% dei giovani mette a confronto il proprio corpo “con quello degli influencer o di altre persone che seguono con regolarità: tra questi, ben il 46% ha ammesso che il confronto ha influito sull’immagine di sé ed è stato motivo di una variazione nel proprio comportamento alimentare.
Relativamente all’immagine corporea, il 65% degli intervistati dice anche di aver mai parlato con nessuno di come percepisce il proprio corpo e del perché ha adottato variazioni nello stile alimentare. Il 31%, infine, ha provato diete o allenamenti proposti dagli influencer”.
In diverse occasioni, ho avuto modo di parlare di come il corpo sia diventato uno strumento per rappresentarci. Nella società liquida, descritta dal sociologo Zygmunt Bauman, prevale il consumismo emozionale e anche il corpo viene consumato.
Il corpo deve piacere agli altri e i giovani cercano di essere uguali ai loro idoli. Il fenomeno del body shaming, così diffuso, ci dimostra che, quando un corpo non ha alcune precise caratteristiche, diventa facile bersaglio degli odiatori seriali.
Dobbiamo interrogarci e veicolare messaggi che mirino a recuperare il valore del corpo. Noi adulti dobbiamo supportare i giovani, perché riescano ad utilizzare le diverse realtà virtuali in modo corretto. È vero, i codici comunicativi hanno subito una trasformazione ma, per essere pronti ad affrontare questo cambiamento, dobbiamo informarci e formarci. Educhiamo le nuove generazioni al rispetto del proprio corpo e al rispetto per la bellezza della vita.