Si chiama Var, acronimo di Video assistant referee. Un assistente virtuale che collabora con l’arbitro, per chiarire le azioni dubbie grazie a filmati e tecnologie digitali. Un meccanismo elettronico invocato per anni nel calcio – l’infinita battaglia di Aldo Biscardi sulla moviola in campo – e finalmente entrato in vigore nella stagione 2017-18. Lo scopo era assicurare imparzialità e precisione assoluta, ma qualcosa è andato storto. Almeno in Italia c’era da immaginarlo, visto che non s’è trovato l’accordo neppure sull’articolo da usare: si dice il Var o la Var? La Crusca ha lasciato scegliere agli addetti ai lavori, che propendono per il sostantivo maschile. Non sorprende dunque che ogni maledetta domenica il Var finisca sul banco degli imputati per due semplici ragioni: non ha semplificato il gioco, l’ha complicato e snaturato.
Stavolta non si tratta della solita lagna all’italiana. Neppure il football inglese sopporta più il Var: “Ha colpito ancora”, hanno titolato i tabloid dopo la domenica nera di Tottenham-Chelsea. Il derby londinese è stato vinto 4-1 dai Blues con cinque gol annullati, due espulsi e 23 minuti di recupero. Abbastanza perché sull’occhio elettronico si scatenasse un ciclone. “Ci sentiamo tutti frustrati. Ma è il calcio con la tecnologia che abbiamo voluto, ora non possiamo lamentarci”, dice Mauricio Pochettino, allenatore del Chelsea. Giusto in teoria. Nella pratica fa testo l’editoriale del Times secondo cui gli ultimi fatti sono “una farsa che deve finire”. La sostanza è che tutti – arbitro, giocatori e pubblico – pendono da decisioni prese a chilometri di distanza dallo stadio, nel Replay Center della Premier.
Il colossale extra time nel derby di Londra si porta dietro il record di cinque gol annullati. La revisione che ha cancellato la rete del possibile 1-1 di Sterling, convertendola in un rigore per il Chelsea con espulsione di Romero, è durata un’eternità: l’arbitro e il suo staff hanno rivisto prima l’azione del gol, poi altre due situazioni dubbie in area prima di decidere. Mentre gli spettatori assistevano senza capire cosa stesse succedendo: sui maxi schermi si avvicendavano le scritte luminose “possibile rigore”, “possibile tocco di mano”, “possibile gioco violento”. Una maionese impazzita tra mitraglie di fischi e cori che invocavano la rottamazione del Var. “Preferirei giocare a calcio anziché aspettare cose che non posso controllare”, ha commentato Ange Postecoglou, coach del Tottenham. Aggiungendo: “Nella ricerca utopica di una partita senza errori umani, stiamo sminuendo il ruolo dell’arbitro. Io sono cresciuto con l’idea di rispettarne le decisioni in campo, mentre adesso la sua autorità viene intaccata dalle analisi filosofiche. Forse sono vecchio ma vorrei tornare indietro: il calcio va in una direzione che non mi piace”.
La situazione è tanto più preoccupante perché Tottenham-Chelsea, dimostrazione dell’eccesso a cui si può arrivare con l’occhio elettronico, è solo l’ultimo (fino a quando?) anello di una catena lunghissima. Sabato scorso la partita Newcastle-Arsenal era stata definita un incubo, con il gol decisivo controllato dal Var per tre diverse azioni e infine convalidato perché mancavano immagini inequivocabili. Un’assoluzione per insufficienza di prove. Ovvero: se la decisione in campo fosse stata quella di annullare il gol, sarebbe stata confermata per lo stesso motivo. Il teatrino dell’assurdo va in scena in altri campionati. Il capitano di lungo corso Carlo Ancelotti, tecnico del Real Madrid e sinonimo di saggezza, tira le somme: “Il Var era nato per ovviare a errori chiari ed evidenti, ma ha preso il sopravvento sulla decisione arbitrale. Ora non si sa chi comanda: va cambiato”.
Misura che appare urgente dando un’occhiata in giro. Nella Liga spagnola sono saltati i nervi a un giocatore del Celta Vigo, che furibondo per un rigore cancellato ha distrutto il monitor uscendo dal campo. Episodio analogo a quello capitato nel torneo brasiliano: il portiere del Botafogo ha preso a calci lo schermo del Var colpevole di aver annullato due reti alla sua squadra. Insomma, reazioni identiche ai tartassati dalle multe per eccesso di velocità che per vendetta sparano all’Autovelox.
E veniamo all’Italia. Utilissimo per definire se la palla è entrata o meno in porta – goal line technology – il Var si è dimostrato clamorosamente fallibile l’anno scorso nel match fra Juventus e Salernitana: un gol annullato per fuorigioco ai padroni di casa, all’ultimo minuto, non aveva tenuto conto della posizione di un giocatore avversario defilato rispetto all’azione. Il motivo? Una falla del sistema, che non possedeva l’immagine trasmessa invece dalle tv. Strada facendo, l’attendibilità è diventata il problema principe a ogni turno di campionato. Tra i molti episodi discutibili, uno su tutti dieci giorni fa: la rete annullata a Kean della Juve (ancora lei) per il fuorigioco di un’unghia. Possibile dimostrarlo? Gli specialisti si dividono. “La simulazione tridimensionale non è al di sopra di ogni ragionevole dubbio”, sostiene Angelo Brigante, ingegnere elettronico esperto in radio-telecomunicazioni, già dirigente Alcatel e Thales, ex calciatore. Che prosegue argomentando: “La linea del fuorigioco tracciata dal Var sui monitor deriva da un algoritmo, che per quanto corretto sembri non tiene conto delle tolleranze delle misurazioni che i sensori sul campo, ovvero le telecamere, effettuano. In gergo si chiama errore di misura e porta ad abbagli equivalenti se non superiori a quelli del segnalinee”. Non è tutto: “Il fermo immagine dei calciatori virtuali sulla linea del fuorigioco viene scattato nell’istante in cui la palla parte dal piede del giocatore. Ma è un dato viziato da vari fattori: la presenza di più telecamere, la velocità di movimento degli attori e del piede calciante, la risoluzione dei sensori stessi. Il margine di errore è stimato in 40 centimetri. Il fuorigioco per un capello, un alluce, un tacchetto, la punta del naso è un assurdo tecnologico”.
Per la cronaca, la registrazione del colloquio tra arbitro e sala Var in quel Juve-Verona fa capire che la scelta del fotogramma è stata sbagliata: il gol annullato a Kean era regolare. Una beffa. Oltre al danno subito dal club e dai tifosi, quelli che vanno allo stadio aspettando il momento dell’estasi al gol della propria squadra. Un urlo di gioia che oggi resta strozzato in gola: il paradiso può attendere, deve prima certificarlo la revisione del Var. Ma è un po’ come nello spot che al cinema avvisa la platea di silenziare il cellulare, perché non si può interrompere un’emozione. E allora forse è meglio, molto meglio, tornare ai vecchi tempi e alle vecchie polemiche, sacramentando contro l’arbitro – e non una macchina – per il rigore negato o una rete annullata. Francamente non c’è gusto a gridare: Var cornuto.