Ognuno ha la sua storia d’agosto da raccontare. Quella dei turisti in Toscana che pensavano di fare del bene buttando a mare una tartaruga di terra solo perché era vicina a una spiaggia, quella degli scontrini mezza porzione in Liguria, quella del terremoto a Roma ma era un concerto al Circo Massimo. Poi ci sono le foto del dove stiamo e di come stiamo bene nonostante il governo la guerra gli uragani e la siccità. Tutto scrolla via con un dito lo so ma un tentativo lo faccio lo stesso.
La mia storia d’agosto si chiama Jane ha più ottanta anni e sta uscendo adesso dalla cappella di Suis, una frazione minuscola di un paese minuscolo, Chamois (si, ci sono i camosci dappertutto e ci si arriva solo con la funivia niente automobili) ficcato tra le montagne della Val d’Aosta con il Cervino sullo sfondo. Oggi c’era la messa in ricordo della santa patrona Teresa Benedetta della Croce, (prima si chiamava Edith Stein era ebrea diventata cristiana morta ad Auschwitz) e Jane era tra la decina di fedeli del posto a ricordarla. Perché da più di trent’anni Jane Stuart Vander Poel vive tra qui e Washington dove è nata, abituata ai due mondi divisi solo da “the puddle” la pozzanghera mi dice ridendo “come chiamano l’oceano gli inglesi”.
Ha conosciuto l’Italia giovanissima negli anni cinquanta seguendo il padre archeologo nei suoi scavi a Pompei, studiato a New York, insegnato storia dell’arte alla Potomac school di Washington, esperta calligrafa decide di tornare in Italia da sola alla fine degli anni ottanta e si incanta davanti alle vette e alla gente della Val d’Aosta. Dipinge fotografa e scolpisce il legno dei boschi e la pietra delle montagne. Soggetti religiosi soprattutto come le dieci gigantesche tavole (tre quintali l’una) dei misteri del Rosario che, trasportate in elicottero, oggi segnano il sentiero che porta in cima al monte Zerbion.
Pare di vederla questa americana che occhiali protettivi, cuffie antirumore e scalpello elettrico, completamente coperta di polvere di pietra scanala e leviga questi enormi massi tra lo stupore e l’incredulità degli abitanti del posto. Ma l’Americana sa conquistarli perché è lei che si innamora di queste baite e di questa vita. Come quando fotografa Emilio -per anni unico abitante di Suiss- che orgoglioso suona la fisarmonica per le sue mucche “a loro piace” le dice e lei scatta la foto e che foto. Già le foto, che ora sono corredo di ogni dettaglio abbellito delle nostre vite, per lei senza smartphone sono merce rara e preziosa. Come quelle in bianco e nero che la ritraggono in montagna con il suo inseparabile cagnolino (e viene in mente la Bergman a Stromboli per dire) rare perché a quel tempo c’erano ancora i ritratti a olio per certificare la bellezza di un volto e di una storia.
Fatto sta che oggi Jane è qui nel suo paesino, assieme al suo innamorato Edoardo, che è stato maitre di grandi alberghi e ha girato anche lui il mondo e che adesso cura meticolosamente il giardino verde davanti alle dieci case e alla cappella di Chamois. Ora la messa in onore di Santa Teresa è finita ed è stata anche l’ultima per Padre Gilbert, missionario dall’italiano colto che ha raccontato della martire, della croce e di Auschwitz e che domani torna a casa, in Burundi. Quando un paese é il mondo.