La narrazione del fenomeno mafioso nella società postmoderna assume contorni particolari ed è necessario valutare alcuni elementi di contesto con l’obiettivo di tracciare un parallelo tra la strategia comunicativa di Riina, Provenzano fino al recente arresto di Messina Denaro.
Gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino, gli attentati di quegli anni raccontati attraverso i giornali e la televisione, gli arresti eccellenti, crearono una narrazione, furono stati i media a fornire una rappresentazione, che definì per la prima volta la realtà di Cosa Nostra attribuendo senso e significato. Ma allo stesso tempo i media diventarono la cassa di risonanza di un messaggio, la mafia, che voleva infondere insicurezza, paura nell’opinione pubblica.
Sono gli anni in cui la televisione italiana subisce una profonda trasformazione. Inizia l’era dell’infotainement in cui il racconto del crimine trova la sua messa in scena televisiva. L’emozione del crimine riguarda i drammi personali, i luoghi, le storie, i volti di chi decide di uccidere. I produttori mediali hanno compreso che sfruttare quest’emozione capace di coinvolgere le passioni dei pubblici garantisce ottimi ascolti con bassi investimenti. Avviene, così, che i casi di cronaca nera divengano sempre più frequentemente eventi televisivi; la televisione, pertanto, trasmette in forma spettacolare e suggestiva la ricostruzione di queste vicende drammatiche.
Mostrare i nascondigli, le abitudini dei criminali catturati, le auto sventrate dagli attacchi criminali. In quegli anni il processo di impostazione dell’informazione iniziò a cambiare, facendo prevalere la spettacolarizzazione sull’indagine fattuale.
In questo senso a questi aspetti di spettacolarizzazione e banalizzazione della storia si aggiungono dinamiche che richiamano forme di populismo penale, e una certa costruzione dell’agenda dei media italiani dove, sulla narrazione di fatti di cronaca nera, si è costruito uno spazio significativo nei programmi, in particolare delle televisioni generaliste italiane.
Nell’era della globalizzazione, anche la mafia ha adattato il suo profilo ai nuovi modelli relazionali, ha sfruttato e sta sfruttando appieno la tecnologia come risorsa per la gestione dei suoi flussi finanziari e lo sviluppo di attività criminali. Sempre più invisibile, difficile da decifrare, esercita un potere di attrazione, una manipolazione seducente, un “potere seduttivo”.
Questa è probabilmente una delle ragioni che ha consentito la lunghissima latitanza del Boss dei Boss Matteo Messina Denaro, catturato il 16 gennaio 2023 dopo 30 anni di latitanza. Il radicamento della cultura mafiosa e l’indebolimento generale della società indotto dal consumismo “culturale”, come conseguenza della disintegrazione dei legami sociali ha fatto si che la “comunicazione mafiosa” continui a trovare habitat e strumenti per alimentare la propria diffusione e il proprio radicamento nella società.
La narrazione giornalistica sembra aver perso incisività nella sua capacità di rappresentazione, cedendo il passo alla logica prevalente dell’infotainment.
Assistiamo a una vera e propria mutazione antropologica della mafia, l’invisibilità, la segretezza si combinano con l’esibizione sui social network dove la vita criminale diventa spettacolo e i criminali social influencer, con profili collegati con migliaia di amicizie e post che generano un fortissimo engagement. Emerge che la mafia sia sempre più social anche dal rapporto: “Le mafie nell’era digitale”, stilato dalla Fondazione Magna Grecia e presentato nei giorni scorsi.
Presente all’evento di presentazione, presso la sala stampa della Camera dei deputati, anche il procuratore della Repubblica Nicola Gratteri che ha dichiarato: “Le mafie sono sempre più presenti nei social ma soprattutto sono in grado di pagare degli hacker e di crearsi nuovi sistemi di comunicazione simili a Whatsapp e a Telegram. Noi ad ora non siamo riusciti a bucare nessuno dei loro sistemi comunicativi. Dobbiamo assumere ingegneri informatici e hacker, altrimenti non riusciremo mai a essere competitivi con le altre migliori polizie del mondo”.
A pensarla allo stesso modo è anche il dott. Marcello La Bella, primo dirigente della Polizia di Stato presso il Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni della Sicilia Orientale, in una recente intervista ha dichiarato: “La rete internet viene utilizzata non solo per comunicare, ma anche per commettere atti di istigazione o certe volte anche in maniera più subdola per minacciare qualcuno”.
In questa distorsione del reale la mafia viene enfatizzata a volte anche in maniera inconsapevole da mezzi di comunicazione, soprattutto non italiani, che insistono su alcuni particolari che possiamo definire feticismo del dettaglio e che va ad accrescere la curiosità. Allora, dobbiamo essere capaci di comprendere i nuovi codici e i nuovi linguaggi impiegati dalle diverse criminalità organizzate, per fornire alle nuove generazioni gli strumenti per proteggersi e per favorire lo sviluppo di coscienze critiche.