La Costituzione italiana tutela il lavoro e alcuni articoli, 1, 4, 35, 37, sottolineano come trovare un’occupazione sia un diritto inalienabile dell’individuo.
Purtroppo, i dati e le statistiche ci dicono il contrario. La piaga del precariato coinvolge giovani e meno giovani con conseguenze gravi come lo spopolamento delle regioni e dei territori.
La pandemia che è stata una vera e propria emergenza di portata globale ha avuto un impatto profondo sulle vite dei cittadini. La riduzione degli spazi di libertà personale, la sospensione dei diritti, hanno alterato il rapporto tra cittadini e istituzioni, modificando e indebolendo ulteriormente la dimensione della sfera pubblica e anche lavorativa.
L’industria della disinformazione e la fabbrica delle fake news hanno alimentato la paura, la sfiducia e hanno soffiato sul fuoco dell’insoddisfazione sociale che sta crescendo ovunque in una situazione di crisi economica, che la pandemia ha enormemente aggravato rendendo ancora più evidenti gli squilibri della nostra società.
I cittadini, in questi ultimi anni, si sono sentiti sempre più soli e confusi e gli adolescenti hanno pagato il prezzo dell’isolamento. Un articolo degno di attenzione è quello pubblicato, qualche tempo fa, da La Repubblica Milano, firmato da Zita Dazzi, che ancora una volta conferma le mie ricerche. Il 40 per cento in più di richiesta di aiuto psicologico al centro Telemaco per i più giovani che non riescono a riacquistare i rapporti sociali con i propri coetanei. Sì, perché i ragazzi hanno dovuto abbandonare le loro abitudini e non è stato semplice affrontare quello che è accaduto.
In queste ultime settimane, il ricercatore Enzo Risso, in un articolo pubblicato sul quotidiano Domani, ha spiegato le preoccupazioni dei giovani di fronte al lavoro. L’ultima indagine dell’osservatorio centro studi Legacoop – Ipsos di aprile 2023 – è davvero indicativa. L’analisi mostra come temano di non essere apprezzati (29 per cento); di non avere più tempo per sé stessi (28 per cento); di diventare solo un numero (28 per cento).
Non mancano altre apprensioni come: “il terrore di essere giudicati (18 per cento), la paura di incontrare un capo eccessivamente autoritario (16 per cento), l’angoscia nel restare l’ultima ruota del carro (16 per cento) o di essere discriminati (14 per cento)”.
Il lavoro, sottolinea Risso, è uno degli elementi più importanti della vita dei ragazzi e non sono spaventati dai sacrifici, ma dalla paura di entrare a far parte di alcuni meccanismi che ledono la loro dignità. Come se non bastasse ritengono di essere sfruttati e di non essere abbastanza tutelati. Inoltre, vivere da precari significa per loro non riuscire a trovare certezze e speranze.
Emerge che i giovani della Generazione Z considerano meno l’aspetto remunerativo, rispetto agli adulti, e ritengono che l’esperienza e la formazione siano essenziali per la loro crescita professionale.
Ma non solo. Sperano di essere valutati in modo costruttivo, di essere gratificati e hanno delle esigenze: “essere tutelati dalle associazioni dei lavoratori (16 per cento), trovarsi a operare in un ambiente ben strutturato e organizzato (24 per centro) e potersi esprimere tutto il proprio potenziale (23 per cento)”.
Insomma, l’idea del lavoro assume contorni ben precisi e a contare sono il riconoscimento del merito e il rispetto della persona.
Papa Francesco ha affrontato il problema dell’occupazione e della retribuzione e uno dei messaggi che ha rivolto ai governanti è questo: “Il lavoro è la sfida del nostro tempo, e sarà ancora di più la sfida di domani. Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano. A volte si può sopravvivere senza lavoro, ma non si vive bene. Perciò, mentre create beni e servizi, non dimenticatevi di creare lavoro”.
Le nuove generazioni meritano l’opportunità di conquistare il lavoro che sognano. L’Italia gode di grandi talenti che non devono essere costretti a lasciare il proprio Paese. Domandiamoci cosa stiamo facendo e qual è il nostro impegno nella valorizzazione dei giovani. Abbiamo bisogno che la società fornisca ai preadolescenti e agli adolescenti figure di riferimento, ambienti favorevoli e la positività del vissuto, per tornare a credere che tutto può ancora cambiare.