Nel Medioevo c’era una unione tra la vita domestica e quella lavorativa. La casa era, al tempo stesso, abitazione e posto di lavoro, di solito la cucina e la stanza da letto erano sistemate nel retro o al primo piano e la bottega artigianale davanti. La vita domestica e quella lavorativa non erano ancora separate. La casa metteva insieme la vita privata e quella produttiva creando uno stile di vita meno stressante di quello odierno, in cui gran parte dei lavoratori sono costretti a fare i pendolari per ore o a guidare l’uno attaccato o dietro l’altro per raggiungere il posto di lavoro.
Verso la fine del XIX secolo, con la rivoluzione industriale e le nuove invenzioni tecnologiche e meccaniche, piccole fabbriche sono emerse come funghi un po’ dappertutto. All’inizio del XX secolo è occorsa una industrializzazione su larga scala con un incremento di produttività. La fabbrica veniva gestita da un nuovo ordine di lavoro razionale fondato su routine precise e ripetizioni meccaniche interminabili. Questo nuovo ordine è stato analizzato nell’apparato amministrativo e burocratico da Weber, delineato nell’organizzazione del lavoro da Taylor ed applicato nella struttura dell’impresa da Ford. Secondo Taylor, usando il cronometro e i ritmi di lavoro la produttività può essere aumentata e, al tempo stesso, il costo del lavoro può essere ridotto. Migliaia di pagine sono state scritte sul Taylorismo ed il Fordismo.
La produzione di massa, parte vitale del capitalismo industriale, basata su routine precise, è stata sostituita nelle nuove industrie tecnologiche odierne da una produzione flessibile e nuove forme organizzative: i network e i teamwork che, grazie alla tecnologia digitale del mondo del lavoro, stanno registrando un ritorno alla funzione medievale della casa come luogo per lavorare e dormire. Oggi tanti possono lavorare a casa e tramite il computer collegarsi al quartiere generale dell’azienda.
I teamwork, i network insieme a concetti come flessibilità, globalizzazione, new economy, internet sono stati e ancora sono oggetti di ricerche scientifiche, di dibattiti accademici, di articoli giornalistici e di comuni discussioni quotidiane. Il mondo del lavoro è certamente orientato verso una nuova realtà che sta causando la dissipazione di un lavoro dipendente a tempo pieno che dà un senso di sicurezza e di tranquillità mentale. Nel passato l’operaio assunto in fabbrica era certo di rimanere nel suo posto di lavoro sino alla pensione. Oggi le nuove forme di specializzazioni e professioni non sono riuscite a creare un senso di sicurezza e tranquillità mentale. Al contrario, pare che ci sia tanta scontentezza: prima di giungere alla pensione l’operaio odierno è costretto a svolgere tanti lavori in diverse aziende. Vari studi hanno documentato l’alienazione dell’operaio nella vecchia fabbrica che le nuove forme di lavoro non hanno ridotto.
Pare che l’aumento del reddito abbia cambiato i modelli di consumo dell’operaio odierno e il suo stile di vita. Il consumo rappresenta una risposta all’alienazione nel lavoro. L’atteggiamento dell’operaio verso il lavoro sorge dall’importanza che egli assegna al consumo. Parafrasando Marx, l’operaio si sente a suo agio solo durante i ritagli di tempo libero. Il lavoro è dunque un mezzo per soddisfare i suoi bisogni nella sfera del consumo e tempo libero. Il consumo può essere una forma di fuga dalla condizione di operaio alienato come produttore perché deve produrre ciò che gli viene programmato dalla torre di controllo; durante la giornata lavorativa si aliena pensando a come spendere il tempo libero, così da operaio alienato si trasforma in consumatore manipolato dall’assillante pubblicità. L’immagine dell’operaio di fabbrica descritto da vari studi come annoiato e alienato si è estesa ai nuovi lavori tecnologici.
I giornali, la televisione e i sondaggi d’opinione ci ricordano che l’insoddisfazione nel mondo del lavoro persiste. Il mito dell’operaio felice rimane tale. Se l’operaio del passato, gestito dal Taylorismo e dal Fordismo, credeva nella vecchia etica del lavoro descritta da Weber in cui il lavoro duro veniva considerato una virtù e un dovere, la stessa etica non viene data per scontata dall’operaio di oggi, vittima di lavori temporanei gestiti dal capitalismo flessibile. Egli è conscio che non paga lavorare duro per giungere in qualche posto perché, spesso, non c’è nessuna prospettiva di avanzamento. Pare che non ci sia abbastanza gratificazione nel mondo del lavoro flessibile odierno. L’operaio cerca la gratificazione fuori dal mondo del lavoro. Il lavoro flessibile permette all’operaio di lavorare più a lungo ogni giorno per essere libero il venerdi, può completare la settimana lavorativa in quattro giorni e avere così più tempo libero per il weekend, in cui cerca di soddisfare i suoi bisogni di realizzarsi attraverso i suoi hobbies.
L’alienazione sul lavoro è stata documentata sin dal Fordismo. Tuttavia, il lavoro era visto come un dovere e una virtù, cose non più vere. Oggi è emersa una nuova attitudine. Per tanti operai non ha più senso lavorare duro nel mondo del lavoro flessibile. Oggi l’operaio è, spesso, soggetto a spostarsi anno dopo anno da un lavoro all’altro, da un teamwork ad un altro per arrivare poi da nessuna parte. I bisogni dell’operaio sono soddisfatti fuori dal mondo del lavoro nei suoi ritagli di tempo libero come consumatore. Sembra che oggi sia più importante avere un lavoro per assicurarsi un salario che consenta di soddisfare i propri bisogni fuori dal mondo del lavoro, piuttosto che avere un lavoro per soddisfare le proprie abilità, i propri interessi e le proprie aspirazioni.
I flussi odierni d’informazione computerizzata nella gestione aziendale hanno permesso una sorveglianza automatica che è una estensione del vecchio Taylorismo e Fordismo. La gestione gerarchica del passato è ora una struttura di network sciolti basata su teamwork flessibili piuttosto che su ruoli chiari e fissi. I network e i teamwork costantemente ridefiniscono la loro struttura in cui l’operaio fa pezzi di lavoro e deve essere molto flessibile e pronto a orari vari chiamati “flextime”, invece di turni fissati mesi dopo mesi. Durante la sua vita lavorativa è costretto a cambiare lavori e competenze più volte sino alla pensione.
Pare che la flessibilità del nuovo capitalismo abbia creato tanto malcontento nel mondo del lavoro che si manifesta attraverso l’alienazione. L’operaio odierno è come un volatile che vola da team a team costretto ad adattarsi ad una varietà di circostanze. Il lavoro è riorganizzato in frammenti e nodi. Egli lavora, nello stesso tempo, su tante posizioni diverse. Fa parte del team e spesso non è responsabile dei suoi errori che possono essere attribuiti al team. Le qualità personali di essere un buon operaio diventano più difficili da definirsi. Oggi l’operaio si muove da una posizione ad un’altra in un network disunito. Le sue opportunità possono aumentare di più spostandosi da un’azienda ad un’altra piuttosto che attraverso una promozione dall’interno.
Nella vecchia routine del Fordismo l’operaio ha dimostrato il suo valore attraverso il suo duro lavoro. Nel lavoro flessibile di oggi diventa molto più difficile lavorare duro per un’azienda che è predisposta a trasferirsi, ad essere assorbita o a dimezzarsi. La vecchia etica weberiana in cui il valore morale dell’operaio veniva realizzato tramite il lavoro duro non ha più senso nel mondo del lavoro odieno. L’operaio è interessato a lavori, specie a lavori che sono ben pagati per soddisfare i suoi bisogni fuori del posto di lavoro come consumatore. Il consumo assume un aspetto importante nella società odierna.
Oggi il mondo del lavoro è flessibile ed il capitalismo più dell’operaio gode di questa flessibiltà muovendosi dappertutto in cerca di forza lavoro a buon mercato per massimizzare il suo profitto. L’operaio odierno è stato costretto ad adattarsi a questa flessibilità e ha sviluppato un nuovo orientamento flessibile in cerca di opportunità sempre migliori e ben pagate che gli diano una nuova libertà da esprimere nel suo tempo libero attraverso i consumi.
Verso la fine del XX secolo, parafrasando Bauman, c’è stato un cambio da una società di produttori ad una di consumatori. Da una società “solida” ad una “liquida”. Da una società moderna ad una post-moderna. Questo cambiamento è dovuto alla globalizzazione, al consumismo, a fenomeni rapidi e difficili da spiegare. Viviamo in una società “liquida”, fragile, piena di insicurezza. La sicurezza del posto fisso nel mondo del lavoro del passato incoraggiava l’operaio a lavorare duro. Nel mondo del lavoro odierno, dove tutto è flessibile, con legami deboli, spostandosi da un team work ad un altro senza alcuna garanzia di sicurezza a chi lavora, non paga lavorare duro; chi lavora deve adattarsi al tran-tran e alle incertezze della nostra società non solo “liquida” ma anche “flessibile”.