I giovani professionisti che scelgono New York per tentare di realizzare un proprio progetto devono affrontare questioni importanti e complesse: dove collocarsi con il proprio ufficio, come scegliere i collaboratori, in che modo investire le proprie risorse (per lo più scarse) per raggiungere l’obiettivo.
In questa puntata della rubrica ci occuperemo del primo problema, indicando quali sono le alternative e quali possono essere, a seconda delle scelte, i benefici a livello strategico ed economico, senza dover rinunciare a quelle componenti che possono fare dell’ambiente di lavoro un luogo stimolante e sereno.
La nostra esperienza può risultare utile. Quando abbiamo deciso di aprire uno studio di architettura ci siamo trovati di fronte a tre diverse strade: lavorare da casa, trovare un ufficio spazioso ma in qualche zona più periferica, utilizzare un co-working space.
Scartata la prima opzione, ritenuta troppo riduttiva e penalizzante anche sul piano dell’immagine, abbiamo deciso di stabilirci in una zona considerata “calda” di Manhattan piuttosto che avere molto spazio ma in periferia, perciò la nostra scelta è caduta sul co-working.
Il co-working space – la parola significa “spazio per lavorare insieme” o, se dovessimo inventarci un nuovo termine, “coolavorare” – ha i vantaggi di evitare una vita lavorativa solitaria nel proprio appartamento, senza doversi sobbarcare i costi elevati dell’affitto di uno spazio privato, e allo stesso tempo dà modo di avviare sinergie facendo networking. I più recenti sondaggi sembrano darci ragione: hanno registrato maggiore produttività da parte dei lavoratori indipendenti che svolgono la loro attività in luoghi dove le interazioni umane sono parte integrante della vita lavorativa, così da eliminare quel senso di solitudine che finisce per deprimere creatività e voglia di fare.
Il co-working è nato nel 2006 nell’area di San Francisco, espandendosi poi a macchia d’olio in pochissimo tempo in tutta la California. In genere venivano utilizzati vecchi building industriali in disuso, riconvertiti in luoghi di lavoro e adatti soprattutto per i millennials in cerca di nuove idee per sviluppare start-up. Un approccio al lavoro che si sta allargando anche all’Europa.
A oltre dieci anni di distanza, i luoghi del co-working sono offerti in affitto da organizzazioni ramificate negli States e utilizzati da un’ampia gamma di liberi professionisti, da dipendenti, da persone spesso in viaggio con la necessità di un punto di appoggio e da tutti coloro che un tempo avrebbero avuto bisogno di grandi uffici e che ora, grazie alla tecnologia, hanno ridotto drasticamente l’esigenza di spazio. Quello che stupisce è che anche alcune grandi aziende hanno iniziato a trasferire i propri dipendenti nei co-working, ritenendo che la contaminazione li possa far crescere e li renda più produttivi.
Nel nostro campo, ad esempio, fino a dieci anni fa avremmo avuto bisogno di grandi tavoli, tecnigrafi e un’area intera dedicata alla costruzione di plastici. Oggi invece un architetto si attrezza con un computer e una stampante e ha tutto il necessario per lavorare. Non abbiamo più nemmeno bisogno di una memoria esterna per memorizzare i dati poiché tutto viene salvato in rete. Che si lavori dal proprio ufficio, da casa o dalla stanza di un albergo non fa differenza. Il co-working space permette di avere un punto di appoggio, un luogo dove stabilire la propria base lavorativa, a prezzi accessibili.
Ma cosa offrono in concreto questi spazi? Le opzioni sono principalmente di tre tipi e variano in base alle diverse necessità e alla disponibilità economica. La prima è caratterizzata dagli hot desk, ovvero grandi tavolate comuni: quando trovi posto ti siedi e lavori, ma non hai la possibilità di riservare. La seconda è il dedicated desk, molto simile all’hot desk ma si può riservare la postazione. La terza scelta è costituita da uffici privati e provvisti di chiave, di varia dimensione, che si affacciano sui corridoi. In tutti i casi l’iscrizione è strutturata come una vera e propria membership : si può usufruire dei servizi, degli spazi comuni, della cucina (con acqua, caffè e… birra!) e delle sale riunioni. Si può in questo modo avere una base d’appoggio in qualsiasi città ci si trovi poiché nei grandi centri in genere esiste una sede dell’organizzazione di co-working a cui si è aderito e la card è valida in tutte le strutture del gruppo.
In alcuni casi, all’interno del building sono ospitati anche i Fab-Lab, laboratori tecnologici di piccola scala. Per il momento non tanto diffusi, ma ne scriveremo in una delle prossime puntate.
I costi sono mediamente accessibili, soprattutto se rapportati ad un ufficio tradizionale, in quanto tutte le spese accessorie che a fine mese gravano sul budget aziendale come Internet, elettricità, acqua e pulizie vengono divise tra la community. Ovviamente i prezzi variano in base alle dimensioni, alla città e alla zona. A Brooklyn, per esempio, lo stesso spazio costa quasi la metà rispetto a Manhattan.
La nostra esperienza nel co-working è positiva e ci ha facilitato l’ingresso nel mondo del lavoro americano. Si tratta di un modo di gestire gli spazi lavorativi che favorisce la mobilità, consente di rimanere al passo con l’innovazione tecnologica senza svenarsi economicamente e di scegliere, quasi su misura, la situazione che si ritiene più consona alle proprie esigenze.
Un consiglio può essere quello di fare attenzione alla scelta dello spazio più adatto, mettendo a confronto varie soluzioni poiché vi è molta concorrenza e quindi è opportuno investire un po’ di tempo nel valutare prezzi e qualità dei servizi. È inoltre fondamentale scegliere una situazione in cui ci sia una buona varietà di persone occupate in diversi campi per costruire una rete di possibili relazioni (e, perché no? clienti) ed avere un supporto nel caso serva un aiuto professionale.
Dubbi, domande, commenti o consigli? Potete scriverci a moc.kroywenidecoval @wnyn. Saremmo lieti di rispondere o riportare altre esperienze all’interno di questa rubrica, che intende essere un aiuto a chi incomincia ad affrontare il lavoro nella Grande Mela.