Alex Schwazer, atleta altoatesino, marciatore sulla distanza dei 50 km, campione olimpico ai Giochi di Pechino 2008, nell’agosto del 2012 viene trovato positivo ad un controllo antidoping. Ammette, viene squalificato per 3 anni e 9 mesi. Al tempo della squalifica ha 28 anni. Pensa di abbandonare, ma poi ricomincia. Riprende gli allenamenti, nella solitudine del reprobo che non vuole più esserlo. All’inizio del 2015 cerca Alessandro Donati.
E qui dobbiamo un po’ fermarci, altrimenti il rischio, serio, è di non intendere granchè di quanto sta capitando a Schwazer in questi ultimi giorni.
Donati non è uno qualsiasi. Oltre che essere stato allenatore della nazionale italiana di atletica leggera, dal 1977 al 1987, è, tuttora, semplicemente, l’antidoping. Non solo in Italia. Ai Campionati mondiali di Roma nel 1987, da allenatore, svelò che il salto in lungo di Giovanni Evangelisti era stato misurato con uno strumento truccato. Medaglia di bronzo revocata; tuttavia, anche Donati perse il suo ruolo: probabilmente in riconoscimento della sua lealtà di sportivo. Ma non demorde. Nel 1989 scrive un libro, Campioni senza valore, così documentato che presto la sua prima (e unica) edizione andò esaurita. E si decise di lasciarla esaurita. Fortunatamente, qualcuno ne ricava un formato PDF. Lo stesso Donati ne ha solo una copia così . Nella prefazione, Gianni Minà scrive: “E’ la storia di un uomo comune, onesto, appassionato, ben certo dei suoi valori, che un giorno, senza cercarlo né volerlo, si trova ad affrontare i più potenti…”; e poi aggiunge una frase, Minà, che, scritta 27 anni fa, suona profetica: “Ad un certo momento si tenta perfino di far passare lui per bandito.” Dal 1990 al 2006 è stato Capo del Settore Ricerca del CONI; poi consulente della WADA, (World Anti-Doping Agency), fino all’autunno 2015. Un precursore, uno a cui la lealtà è sempre costata di persona. Decenni prima che l’antidoping diventasse anche politique politicienne.
Questo per dire che, quando si rivolge a Donati, Schwazer sa chi si trova di fronte. Come lo sa Donati, chi si trova di fronte: e accetta. Pur potendo restare, a 67 anni, comodo nella sua pensione. Lo fa perché quel lungagnone con il viso di un bambino è un uomo che vuole riscattarsi dall’errore, e perché, proprio per questo, gli si presenta subito come un campione. Parlano, si conoscono sempre meglio. E, come un buon padre, scopre che quando, tre anni prima, Alex si è dopato, i suoi carichi di lavoro erano bassissimi. Fu una decisione assurda, dettata dalla depressione in cui era caduto. Avrebbe potuto suicidarsi, diventare anoressico, bulimico, impazzire. Si dopò, sfigurò la sua purezza atletica per inseguire i suoi fantasmi in quei mesi bui. Tutto qui. Perciò Donati crede al riscatto dell’uomo. Non è per la dannazione eterna.
Schwazer da quel momento marcia come se volesse espiare, con ogni goccia di sudore, ogni goccia del sangue che aveva alterato con l’Epo. Donati allena e sorveglia. A ridosso del rientro nelle competizioni ufficiali, a Vipiteno, lo scorso Capodanno, viene eseguito un controllo. Tutto bene. L’8 Maggio, a Roma, Alex vince i campionati mondiali di specialità, e si qualifica per Rio 2016.
Cinque giorni dopo la vittoria a Roma, cinque mesi e mezzo dopo il primo esame, le urine di Vipiteno vengono sottoposte ad un secondo controllo: si trova Testosterone, “poco oltre la soglia consentita”: sospeso. Il riesame è stato voluto dalla IAAF, la Federazione Internazionale di Atletica leggera.
Donati è molto informato. Lo è sempre stato. Al tempo del libro poi scomparso aveva anche scritto di Ben Johnson, il canadese-giamaicano che sembrava calato dal cielo per spazzare ogni record di velocità. Suo il dossier che, nel 1993, mise in luce i metodi dopanti del Prof. Conconi nel ciclismo, determinando, nel corso dei dieci anni successivi, numerose squalifiche e condanne, anche giudiziarie; ha partecipato anche alle inchieste antidoping sul calcio, e sul noto laboratorio antidoping di Roma. Per questo, e perchè capisce che Schwazer è un ex mai ex, studia per lui un progetto di monitoraggio unico: da Vipiteno in poi, lui e Alex mettono a disposizione delle autorità sportive i dati sui 35 controlli nel frattempo eseguiti, tutti negativi, ovviamente. Inoltre, nero su bianco, comunicano alla WADA di rinunciare alle c.d “finestre temporali” di reperibilità che, com’è noto, devono essere rispettate nei controlli, e di essere invece disponibili H24. Nessuno risponde, fino al 13 maggio.
Perciò, quando la IAAF si ricorda della provetta di Capodanno, e Donati rileva che proprio la IAAF non è, essa, al di sopra di ogni sospetto, nessuno replica. E Donati non rimane sul generico: ricorda che l’ex Presidente della Federazione Internazionale, Lamine Diack, con la sua famiglia, fu preso a trescare su “esami positivi”, insieme proprio al Capo dell’antidoping, Gabriel Dollè, e l’uno e l’altro costretti alle dimissioni. Sulla WADA, pur ribadendone i meriti generali, ricorda però che, dopo la cessazione del suo rapporto di consulenza, prima una denuncia della discobola russa Darja Poshschalnikova, argento a Londra 2012, che si tentò di ignorare, e poi l’inchiesta della Tv tedesca ARD, che invece esplose clamorosamente, generano lo sconquasso, culminato con la squalifica dell’intera squadra russa dai giochi di Rio 2016. Ma nessuna voce si era levata dall’interno dell’Agenzia, come per es., aveva fatto Donati nella vicenda Evangelisti.
I tempi, in questa storia della “ricaduta” di Schwazer, non sono neutri. Donati lascia la WADA nel Settembre 2015. Dopo un intervista al settimanale Panorama in cui definisce la WADA “ostaggio dei poteri forti” e parla di “un simil-antidoping, che serve decisamente a poco…”; e nella quale aveva pure severamente contestato un certo report. Quello in cui su 114 atleti nel mondo, qualificati come “impresentabili”, ben 61 erano italiani. D’altra parte, si sa, gli italiani sono un popolo corrotto, come dicono i dotti di casa nostra. Solo che Donati va al sodo, e contesta che l’Italia potesse avere “la maglia rosa del doping”, perchè vanta numerosi controlli antidoping, e molti paesi, con cui il confronto avveniva, non ne hanno alcuno, o nessuno della qualità paragonabile a quelli italiani. Parole precise, argomenti.
Poche settimane, e si ha la successione alla direzione dell’Agenzia; a David Howman subentra Oliver Niggli: con cui Donati proprio non si prende. L’uscita di Donati dall’Agenzia era stata piuttosto dura, proprio perchè era Donati, e perchè era avvenuta a ridosso della nomina di Niggli, con tanto di comunicato stampa. Perciò la WADA non trova di meglio che disconoscere il rapporto di consulenza: Donati? E chi lo conosce. Sciocchezze: ci sono fior di pubblicazioni, presenti naturalmente anche sul sito dell’Agenzia: nel 2013 aveva scritto, con Letizia Paoli, criminologa, docente nell’Università di Lowen, il report The Supply of Doping Products and the Potential of Criminal Law Enforcement in Anti-Doping: An Examination of Italy’s Experience: “finanziato” dalla WADA; un altro studio di Donati, di nuovo insieme alla Prof.ssa Paoli, “The Sports Doping Market”, risulta “commissionato” dalla WADA, ed è citato nel 2015, da Howman, ad un convegno a Melbourne. Sciocchezza troppo grossolana, questa del “Donati non è mai stato consulente WADA”. Così, un mese dopo, si firma una specie di armistizio, e viene diffusa una dichiarazione congiunta: scritta però con i denti. Le ruggini, dove sono, restano.
E torniamo alle urine di Vipiteno/Colonia. Qualche giorno prima del secondo esame, la Procura antidoping aveva sospettato Schwazer di aver partecipato ad una gara ufficiale, quando ancora era squalificato; ma era un allenamento e, infatti, dopo una settimana, arriverà l’archiviazione. Fino poche ore dalla gara di Roma, rivela Donati, ad “Alex sono stati dati dei consigli di non vincere…Le pressioni le ha fatte qualcuno che ha un ruolo importante. Verrà specificato nelle sedi competenti” . Insomma, l’aria, intorno ad Alex, era già pesante.
Ora, né Schwazer né Donati negano che nel flacone esaminato il 13 Maggio a Colonia ci fosse il testosterone assente a Vipiteno. Donati, pertanto, è categorico: “Ci sono solo tre possibilità: o assunzione volontaria. O assunzione inconsapevole. Oppure manomissioni nella catena dei controlli. Alex ha analizzato la situazione e nessuno degli amici che ha frequentato può averlo ingannato: bisogna cercare altrove“. Inoltre, Donati ha precisato che uno steroide anabolizzante, come il testosterone, notoriamente incide sul trofismo muscolare: quello di Alex, anche a occhio nudo, non è un fisico anabolizzato. E ha invitato a confrontare, da una foto che li ritrae insieme, il braccio di Justin Gatlin, il velocista statunitense squalificato (e poi riammesso alle gare) proprio per l’uso oltre soglia di steroidi anabolizzanti, con le gambe di Alex: il braccio dell’uno è il doppio delle gambe dell’altro. E, infine, il suo giudizio tecnico: Schwazer è come Pietro Mennea: un fuoriclasse. Carichi di lavoro superiori, recupero naturale.
Dato l’insieme di: coincidenze temporali, intemerata carriera antidoping di Donati; incongruità “dopante” della sostanze per un atleta di resistenza, giacenza prolungata del campione, non stupisce la premura con cui si è preteso comunicare, come i nuovi esami siano pressocchè infallibili. I redazionali di supporto accusatorio, di qualsivoglia specie d’accusa si tratti, sappiamo, non mancano mai. E così possiamo leggere che la provetta è stata bombardata di ioni (“su ciò che è rimasto del campione”, ad ogni buon conto, si è precisato); non si è trovato propriamente testosterone, ma suoi precursori; la procedura è quella usata per scoprire la contraffazione del rozzo whisky “blended”, spacciato per “single malt”; viene eseguito un raffronto fra testosterone assoluto ed epitestosterone; ora c’è anche la registrazione degli esami sul “passaporto steroideo”. Però.
Il 5 luglio prossimo è previsto una specie di appello sportivo. Per quanto fin qui visto, è altamente improbabile che l’Agenzia si autosconfessi.
E poi, come si fa a dubitare? Già, come si fa? Basta vivere in Italia.
Qui, ormai, siamo abituati alle indagini infallibili; alla demonizzazione legale dei giusti, come pure ricordava Minà in quella lontana intervista; alla voglia, proprio voglia, di pena di morte, o, in mancanza di meglio, di ogni suo succedaneo; al colpevole una volta-colpevole sempre, e così via.
Per questo credo che Alex Schwazer e Alessandro Donati siano innocenti. E per questo sono quasi certo che verranno condannati. Fra gli applausi.