Giorni fa non riuscivo a dormire e, facendo zapping, sono incappata nella trasmissione “Uomini e Donne”, condotta da Maria De Filippi e che ho sempre evitato di guardare. Non perché lei non sia brava, è bravissima a condurre programmi trash, che piacciono alla maggioranza degli spettatori televisivi. Io ho sempre avuto la puzza sotto il naso e quindi non mi sono fatta strada nella spazzatura mediatica in cui molti sgomitano per entrare. Dire che sono rimasta basita è dir poco: c’erano quattro donne stagionate, tirate a lustro, che, sedute di fronte a un uomo assiso su un trono, si sottoponevano palpitanti alla sua scelta. Il cavaliere del trono, sicuro della sua beltà ed eleganza quanto di una spada, menava domande a destra e a manca alle femmine che gli rispondevano come pudiche scolarette, benché si fossero abbigliate da virago.
La prima domanda era: quanti anni hai. Cinquantuno o cinquantadue, la risposta. Ma nasi rifatti, bocche a canotto e guance gonfiate non riuscivano a togliere i 15 anni in più che dimostravano. In compenso lo sguardo era senza età: tra loro e quelle che si coprono con il burqa, pur di compiacere un uomo, nessuna differenza nella materia grigia del cervello. Sottosviluppate che cercano di pescare un maschio senza accorgersi di esser finite in vendita al mercato delle vacche. Un tanto al chilo di trucco, ciglia e unghie finte per far bella figura.
Giorgio, il tronista, lui sì cinquantenne, ripeteva l’età della bella di turno quasi volesse sottolineare l’inganno della stagionatura che gli veniva propinato. Ognuna poi snocciolava un curriculum ammantato quanto l’aspetto. Nessuna aveva una passione culturale. Giorgio spiegava che cercava una compagna con cui condividere viaggi e interessi, una donna che sapesse raccontare e stupire. Sguardi vuoti: non capivano cosa lui chiedesse. Il cavaliere, scusandosi, ha sentenziato che nessuna di loro corrispondeva al suo ideale.
Il fortunato programma è nato vent’anni fa come luogo dove una coppia raccontava la propria storia per cercare di aggiustarla o ricostruirla. Nonostante incontri e scontri, pianti ed abbracci, la maggioranza delle coppie deve esser scoppiata, tanto che il format della trasmissione è stato modificato per far nascere nello schermo una relazione reale. Un’agenzia matrimoniale dove un uomo ha a disposizione un numero imprecisato di aspiranti fidanzate; poi ci sarebbero anche delle corteggiatrici, che entrano in lizza durante la cernita. Ahinoi, povere donne. Ci umiliamo e sottomettiamo ancora pur di ricevere amore. Ma lo sappiamo dare?
Come una luce nelle tenebre arriva Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica di papa Francesco per accompagnare il viaggio esistenziale della famiglia. La quale è diventata un mistero: si teme la solitudine, ma non si è disposti a rimandare il soddisfacimento delle esigenze personali, finendo per avere un ideale astratto del matrimonio. La famiglia ferita può essere curata solo dalla formazione della coscienza, soppiantata dall’individualismo. Bisogna accettare la trasformazione dell’amore e ritornare a scegliersi a più riprese nel corso della vita familiare. Perché se è la dimensione erotica a far nascere l’amore, l’aspetto fisico muta, l’attrazione amorosa cambia, tuttavia il desiderio sessuale può mutare in desiderio di unità e complicità. Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti tutta la vita, ma possiamo avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e vivere uniti. La cultura dell’incontro, secondo il papa, deve rafforzare l’amore attraverso l’insegnamento dell’etica e pure dell’educazione sessuale ai figli. Dobbiamo imparare a donare, perché la spiritualità coniugale è fatta di migliaia di gesti concreti. Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare.
Oltre ad aver riconosciuto il giusto valore all’amore erotico, il papa introduce nella Chiesa cattolica il concetto rivoluzionario di riconoscimento ed accettazione del divorzio. Sebbene il divorzio sia un male, perché significa che non si sono riuscite a risanare le ferite familiari, il compito dei religiosi è integrare nella Chiesa i divorziati, valutando caso per caso la somministrazione dell’eucarestia.
Quella ad esser stata finora nell’eresia è dunque la dottrina cattolica? Se comunione significa unione e la Chiesa deve offrire un’altra possibilità. Essere uniti con Dio significa essere in pace con se stessi. Altrimenti non si può ricominciare ad amare l’altro. E l’amore è vita.