Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi? Un detto che sicuramente non è nelle corde delle comunità degli italoamericani nel New Jersey. Sebbene di terza – se non addirittura quarta – generazione, ci sono cose che i figli e i nipoti degli italiani emigrati in America devono rispettare e accettare come un dogma. E cioè che a Pasqua si sta insieme. Almeno per il dinner time, che sarà comunque frugale e veloce, perché il lunedì si lavora, “Mica come voi che vi prendete tutti quei giorni di holiday!”, esclama Lucio, ricordando i tempi in cui, da piccolo, il giorno di Pasquetta se ne andava in spiaggia con gli amici e a guardare le ragazze.
Insieme, cercando di accontentare tutti. Così per i più giovani c’è la tradizionale caccia alle uova colorate, depositate qua e là dall’Easter Bunny nei giardini e nei parchi – un’usanza tra l’altro tipicamente tedesca che si è perfettamente integrata in tutte le altre culture – mentre in casa si cucina per la cena. Anche qui, modernità e tradizione si mettono nel piatto una di fianco all’altro. Perché l’integrazione si fa a tavola o almeno in casa Moschitti si fa così: Louis, per gli amici Gino, per l’occasione prepara l’ham roast pork, il prosciutto arrosto, con la pineapple mustard sauce, un piatto tipicamente americano, ma ci saranno anche le legs of lamb, il capretto pasquale, ammazzato personalmente da suo fratello e cotto con le patate e tanto rosmarino “per toglierci la puzza”, mi spiega.
Il dovere religioso

Prima del piacere, però, c’è il dovere: quello religioso, che qui nel New Jersey, da Newark a Trenton, da Jersey City ad Hamilton, da Bayonne a Hoboken, è ancora molto sentito nella comunità italoamericana. Soprattutto il Venerdì Santo, o Good Friday, quando si celebra The Way of the Cross, la Via Crucis.
Per chi non può andare a Brooklyn, dove da più di 20 anni si celebra la processione più spettacolare eseguita da fedeli e turisti, si resta in zona, dove molte chiese della Contea di Hudson organizzano eventi per l’occasione, con messe liturgiche e la rappresentazione della crocefissione di Cristo.
A Jersey City in particolare, dove si svolge da anni “Walk With Jesus in Jersey City”: nel South Disctrict della città si dà il via alla processione, che parte al mattino all’incrocio tra Stegman Street and Martin Luther King Drive e passa per le principali vie di questa antica meta di numerosi immigrati italiani.
Chi non ha molta voglia di camminare, può comunque rimediare seguendo la messa – in molti casi anche in lingua italiana – nelle varie chiese della città: c’è St. Aloysius Church, che organizza una rappresentazione “in mini” della Via Crucis fuori la chiesa, così come St. Paul’s the Apostle Church, mentre la Holy Rosary Church celebra la messa in modalità bilingue. A Secaucus, cittadina con nemmeno 20.000 abitanti, la processione avviene di sera, come da tradizione: si parte dall’Immaculate Conception Church e, cero alla mano, si prega e si canta.
Il piacere della Pasqua

Ma torniamo al piacere. Le festività sono per gli italoamericani l’occasione per riaprire il loro cassetto dei ricordi, molti dei quali associati ai sapori, come le Madeleine per Proust: quelli dei piatti preparati dalle loro madri tanti anni fa, come la torta rustica, il casatiello, la pastiera. Il coniglio di cioccolato e i candy eggs si lasciano ai bambini; i grandi si riuniscono in cucina e mettono in pratica il loro ancestrale talento con quello che i grocery stores permettono. C’è l’Easter pie, pizza gane o meat pie, meglio nota come pizza rustica, oppure la Easter wheat pie, conosciuta anche come Easter grain pie o pizza grana, la pastiera insomma, dolce tipico che simboleggia l’inizio della primavera. E poi c’è l’Easter bread o l’egg bread, il pane di Pasqua con il ben noto uovo sodo al centro, simbolo di rinascita e vita nuova. Chi ha scarsa memoria, si cimenta con i numerosi tutorial su Youtube, altri invece, vuoi per pigrizia, vuoi per oblio, preferiscono recarsi nelle numerose bakery sparse qua e là in tutto il New Jersey.

Mirella, che ha oltre 80 anni e qui vive da quando ne aveva 16, non ha bisogno di alcun tutorial e prepara il suo tortano – che è una sorta di pane pasquale in versione dolce, tipico del suo paese – come faceva sua mamma Carmelina quando arrivò negli States alla fine degli anni Cinquanta per raggiungere il marito: “Mamma – racconta Mirella – li preparava e poi li metteva a raffreddare sulla shelf sopra la finestra, così quelli che passavano si arrajavano a sentire il profumo dell’anice e della vaniglia”, (arrajare sta per qualcosa che va tra il provare invidia e il desiderare ardentemente). “Non mi ricordo le dosi precise – continua – perché l’ho sempre fatto a occhio, a pugni e pizzichi, perciò la ricetta non la posso dare a nessuno”. Una sorta di scusa per custodire gelosamente il suo dolce segreto. Mirella, il suo tortano non lo mette sul davanzale, ma lo porta per cena a casa dei fratelli.
Si tratta comunque di pietanze che le nuove generazioni mangeranno, se le mangeranno, probabilmente spalmandoci sopra qualche formaggio dolce o salsa speziata, sotto gli occhi sconfortati degli anziani nel vedere le loro tradizioni andare in fumo, come una tazza di caffè americano bollente. Il fatto è che, sia che si preparino home made sia che ci si affidi alle mani di pasticceri – una volta italiani, ora messicani – il commento finale sarà, purtroppo, lo stesso: “eh, però non è come quello che faceva mamma Carmelina”.