Ho insegnato ai miei figli non solo la lingua italiana, ma anche la cultura che rende unica la nostra terra. Le nostre tradizioni, il senso di appartenenza all’Italia: tutto questo è parte viva della loro identità. Eppure, una domanda continua a tornarmi in mente: se noi per primi non trasmettiamo ai nostri figli e nipoti il legame con l’Italia, possiamo davvero aspettarci che lo Stato lo riconosca?
La riforma della cittadinanza approvata ieri in via definitiva va proprio in questa direzione. Non è una chiusura, ma un invito a ricostruire un rapporto autentico con l’Italia. L’obiettivo è ridare significato a una cittadinanza che, troppo spesso, è stata concessa senza un reale legame con il Paese.
Un emendamento presentato dalla Lega, e non previsto nel testo iniziale del 28 marzo, ha introdotto criteri più ristrettivi rispetto all’iniziale proposta del Governo per ottenere la cittadinanza per discendenza. Si chiede ora un legame familiare diretto — con ascendenti che abbiano avuto solo cittadinanza italiana — e una concreta esperienza di vita in Italia da parte del genitore che trasmette la cittadinanza.
In democrazia si discute, si ascolta, si cambia. Questo è il senso del lavoro parlamentare: aggiornare le regole per renderle più giuste, più aderenti alla realtà, più responsabili.
Un Paese serio deve dare valore alla propria cittadinanza. Concederla troppo facilmente, anche a chi non ha più alcun legame reale con l’Italia, ha finito per svuotarla di significato e trasmettere un messaggio sbagliato.
Purtroppo, nel tempo si sono verificati abusi, spesso non da parte dei singoli cittadini, ma da strutture organizzate che hanno approfittato delle debolezze della normativa. Questa riforma vuole tutelare chi ha agito con correttezza, chi ha custodito il legame culturale, affettivo e civile con l’Italia.
Perché la cittadinanza non è solo un diritto da ottenere. È anche un dovere, un impegno attivo, fatto di partecipazione, consapevolezza e responsabilità. Questa riforma non è contro qualcuno: è a favore di un’idea seria, viva e condivisa di cittadinanza.
Anche a nome dei coordinatori di Forza Italia in Nord e Centro America, auspico che questo sia solo l’inizio di un processo di riforma complessiva del sistema di rappresentanza degli italiani all’estero — un cambiamento che da tempo tutti riconoscono come necessario, ma che mai nessuno aveva avuto il coraggio di avviare davvero.