We are the face of our nation. Siamo il volto della nostra nazione. Chi di noi, nel torpore che accompagna quelle code interminabili poco prima dei controlli d’immigrazione nei nostri aeroporti newyorkesi, non ha mai notato questa affermazione un po’ altisonante, stampata su cartelli appesi ai muri? Sfatti da quasi otto ore di viaggio, spesso in economica, e intruppati attraverso dedali di corridoi malconci e in penombra, veniamo quasi ipnotizzati da queste parole, mentre il nostro pensiero corre al dopo: all’espressione annoiata dell’impiegato di turno ai controlli, al recupero del bagaglio, al tragitto verso casa, dove finalmente potremo godere di un po’ di riposo. Gli aeroporti sono spesso molto di più di un insieme di terminal, piste e negozi: sono proprio il volto di una città e di un Paese.
Non a caso i grandi maestri del passato erano affascinati dalle stazioni ferroviarie. Non erano solo i giochi di luci, di fumi e di colori a stimolare la loro creatività, ma anche quell’incrociarsi di umanità, di storie, di pensieri e di umori che si confondevano fra un binario e una sala d’attesa. Se ai pittori di tanti anni fa capitasse di vivere ai nostri giorni, volete che non venga loro in mente di trarre dal JFK, da Roissy o anche dalla nostra piccola Malpensa un capolavoro da affiancare a quelli ispirati dalla stazione di Saint-Lazare?
Già, la nostra Malpensa. Frutto della megalomania dei politici lombardi, non è forse mai stata davvero amata dai milanesi. Troppo ghiotta la comodità dell’alternativa, Linate; già decenni fa bastava saltare sulla 73, tra l’altro dotata di aria condizionata quando sulle altre linee era ancora un miraggio, e si arrivava al gate in men che non si dica. E che dire della concorrenza di Orio, autentico hub per i voli a basso costo? A Malpensa si va quando non c’è altra soluzione, vale a dire per i voli intercontinentali diretti. E pazienza se ITA ha una concezione un po’ distorta del traffico business, concentrando i suoi voli a lungo raggio sull’inutile, per chi viaggia per affari, Fiumicino: ci sono sempre le linee americane e mediorientali che, con più realismo, non rinunciano a collegare NY con la capitale finanziaria e industriale d’Italia.
Il volto della nostra nazione, quindi. Un’entità, quasi una persona, che ci sorride, ci dà il benvenuto in un Paese. Giungiamo quindi a Roissy, e ci accoglie il grande De Gaulle. Un uomo lungimirante, che non si era mai piegato ai compromessi, che aveva lottato per ridare libertà e grandezza al proprio Paese, e che è stato protagonista attivo delle conquiste del mondo in cui viviamo, dall’integrazione europea alla decolonizzazione. Chi meglio di lui può aprire ai nostri occhi il fascino della civiltà d’Oltralpe?
Raggiungiamo New York, ed è il presidente Kennedy a farci gli onori di casa. Pochi come lui rappresentano l’intraprendenza, la laboriosità e l’ottimismo tipici della società americana. Pur con una condotta morale non proprio eccelsa, ma comunque scevra da processi penali, ha saputo imporre svolte decisive alla storia del suo Paese, dalla soluzione della crisi di Cuba alla promulgazione dei diritti per i cittadini di colore.
E la nostra Milano? Chi vogliamo che rappresenti la nostra cultura, italiana, lombarda, la serietà, l’operosità, e forse anche quell’humor un po’ imbruttito e brullo come i nostri cieli invernali? Vengono in mente Manzoni, Franca Valeri, Dario Fo, oppure, perché no, Ludovico il Moro. Troppo banali, troppo noiosi.
Noi italiani, nella nostra creatività infinita, scegliamo un pregiudicato. Un condannato definitivo per frode fiscale, nonché fondatore di un’azienda che, a detta di una sentenza di un tribunale, ha finanziato Cosa Nostra per un lungo periodo di tempo. Un uomo che, salito al potere, ha cambiato le leggi per sfuggire a numerosi processi penali a suo carico.
Questa è l’Italia? Suvvia, non scherziamo. A chi ci governa e ha fortemente voluto quest’intestazione, sotto sotto, della memoria dell’uomo di Arcore importa ben poco. Distrarre, fare casino, suscitare sdegno su questioni in sostanza irrilevanti, per evitare di dare troppo nell’occhio mentre si fa sprofondare il Paese: ecco il punto. Non si deve parlare dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio, delle leggi-bavaglio per i giornalisti, del pasticcio introdotto dall’autonomia differenziata, dei politici che governano dai domiciliari, dell’incapacità e irrilevanza all’estero della presidente del Consiglio. Tutto ciò va sopito, troncato: scandalizziamoci con Berlusconi, e lasciamoli lavorare, cribbio.
Va loro riconosciuta una certa dose di fantasia. Tanto vale continuare serafici ad atterrare nella nostra Malpensa, magari gustandoci una retrospettiva sul Drive-In durante il volo, e a usare i mezzi che la democrazia ci concede per mandare a casa questi mestatori.