A prima vista, Testa o croce? presentato nella sezione “Un Certain Regard” del Festival di Cannes 2025, sembra uno scherzo. Uno di quei film vestiti da western che si divertono a cambiare le regole, o a farle saltare direttamente. Per Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, tutto comincia da una curiosità al confine tra cronaca dimenticata e leggenda da osteria: l’arrivo in Italia, a inizio Novecento, di uno spettacolo americano che vendeva il West come un sogno in technicolor. Buffalo Bill, con la sua compagnia di cavalli, indiani finti e cowboy acrobatici, attraversava l’Europa trasformando la conquista americana in una gigantesca messinscena da esportazione.
Tra le fermate del tour, anche l’Italia. E qui nasce la leggenda: una sfida tra i cowboy del West e i butteri delle campagne laziali. Forse è vero, forse no. Vera o no, poco importa. Quel duello improbabile, colorito e affascinante bastava da solo a stuzzicare l’immaginazione dei due registi.
Zoppis e Rigo de Righi non si limitano a riportare l’aneddoto: lo trasformano in racconto: un nobile italiano, più interessato al gioco d’azzardo che al patriottismo, mette in piedi una gara truccata tra cowboy americani e butteri locali, puntando tutto sulla sconfitta dei suoi.

Ma qualcosa va storto: il buttero scelto per perdere, Santino, interpretato da Alessandro Borghi, decide di non stare al gioco. Non è solo questione di orgoglio: per lui, lasciarsi disarcionare significherebbe perdere l’unica cosa che lo definisce. E allora resta in sella. Vince. Da quel momento la storia prende un’altra piega: Rosa, Nadia Tereszkiewicz, la moglie del generale che ha orchestrato la truffa, trova in quel gesto la forza per liberarsi da un matrimonio oppressivo. Si slaccia il corsetto, si innamora di Santino, uccide il marito e fugge con lui.
Inizia così un viaggio allucinato e a tratti onirico, attraverso la pianura padana tra fanghi, contadini e rivoluzionari, inseguiti da Buffalo Bill stesso – richiamato dal padre del generale per ristabilire l’ordine. È lui, ancora una volta, a raccontare la vicenda come se ne fosse stato testimone diretto. Non lo è, certo. Ma nel mondo dello spettacolo, chi racconta la storia detiene il potere.
Zoppis e Rigo de Righi si muovono con libertà assoluta. Il film cambia tono senza preavviso: dal grottesco al lirico, dal realistico al surreale. Una testa mozzata – quella di Santino – continua a parlare, o forse no, mentre Rosa la porta con sé come trofeo di vendetta. È un’immagine disturbante, ambigua, ma perfettamente coerente con il mondo che il film costruisce.
Come spiegano i registi, l’idea era partire da un western classico, rivisitando le storie spettacolari (e spesso mistificatorie) che Buffalo Bill portava in Europa. Da lì, il film attraversa i sottogeneri: dal western revisionista all’anti-western, fino a toccare il racconto surreale.
E così ogni episodio – anche quelli che sembrano marginali, come i rivoluzionari sudamericani che appaiono e svaniscono – suggerisce che la Storia, come il cinema, è sempre un atto di selezione. Testa o croce? non vuole raccontare il passato, ma mostrare quanto sia facile riscriverlo, deformarlo, renderlo più accettabile. O semplicemente, più facile da credere.