Non se ne parla, o se ne parla molto poco. Diverse e complesse le ragioni di questo silenzio, eppure, la violenza rivolta agli uomini da parte delle donne è un fenomeno frequente. Vergogna, paura, incapacità di allontanarsi dalla partner violenta e da continue aggressioni, stalking, timore di non essere compresi e soprattutto, mancanza di una rete di protezione.
L’Associazione Ankyra di Milano è oggi il riferimento nazionale, insieme al centro vicentino CEAV, in grado di accogliere e supportare tutte le esperienze di violenza subita, a prescindere dal genere degli assistiti. E’ un Centro rivolto a donne e uomini maltrattati in ambito domestico e relazionale. Una scelta coerente con la Convezione di Istanbul che riconosce come vittime di violenza domestica donne e uomini.

Riconoscendo il merito del movimento femminista degli anni settanta e ottanta, e l’operato prezioso di tutte le donne impegnate nella lotta contro la violenza femminile, Ankyra guarda oltre. Oltre al genere, oltre alle pericolose retoriche che impediscono di approfondire le dinamiche di relazione da un’altra prospettiva. Ed anzi, forse, è la negazione di questa incisività sociale a rendere sempre e solo vittima la donna. Spiega Patrizia Montalenti, fondatrice e vice presidente di Ankyra: “creare uno schieramento allontana”.
Il centro: quando nasce, gli obiettivi, gli operatori.
“L’Associazione si costituisce nel 2013 dopo una disanima della letteratura internazionale sul tema e dopo un con un confronto con altri centri antiviolenza americani ed europei. Inizia ad operare nel 2014. La mission consiste nell’accogliere le vittime di violenza domestica e stalking senza distinzione di genere, questo perché la vision dell’Associazione fa riferimento alla Convenzione di Istanbul, all’articolo 3, che include fra le vittime di violenza “qualsiasi persona che subisce atti e comportamenti violenti”. Questo servizio è operante da diversi anni negli stati membri dell’ Unione Europea e negli Stati Uniti, qui in Italia assolutamente no. Per Ankyra il focus non è sul genere, né sui numeri, bensì sulla violenza domestica, con particolare attenzione alla violenza assistita (la violenza che si verifica quando i genitori si maltrattano). L’obiettivo è quello di accogliere, sostenere e supportare all’uscita dal loro disagio tutte le persone maltrattate in famiglia attraverso un progetto condiviso dalle stesse persone. Gli operatori sono professionisti che operano nell’Associazione in regime di puro volontariato.
Speriamo che le Regioni ed i Comuni comprendano l’importanza e la necessità di finanziare un Servizio assente nel nostro Paese e concretamente stipulino una convenzione che sostenga questo tipo di lavoro”.
Uomini maltrattati: perché non se ne parla?
“Me lo sono chiesta anche io e la risposta che mi sono data è forse parziale: può ricondursi al fatto che in passato, ed in alcune aree anche attualmente, il patriarcalismo e la misoginia hanno segnato un brutto periodo nella storia delle donne. E questo è fuori dubbio. Penso però che oggi si debba andare oltre e che una Società civile debba accogliere le vittime di violenza domestica, a prescindere dal genere e dalle quantità. Penso inoltre che non se ne parli anche perché gli stessi uomini non ne parlano. Il maschio non lo rivela neanche al suo migliore amico. Il maschio si vergogna, teme di non essere creduto e deriso”.
La violenza ha un genere?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce violenza domestica “il comportamento abusante di uno o entrambi i compagni in una relazione intima”. La definizione non fa quindi nessun riferimento al genere. La Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2013 riconosce che “la violenza domestica colpisce le donne in modo sproporzionato” e che ” anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica”. Nell’art. 3 precisa “violenza contro le donne e “violenza domestica””.
Quali sono le tipologie di abusi e violenze rivolti agli uomini da voi in carico?
“Violenza fisica (graffi, pugni, calci, tirate di orecchie…), sessuale (ciò sorprende il senso comune), psicologica, economica ed atti persecutori, come per le donne. Molta è anche la privazione del sonno”.
Quali sono i segnali relativi a possibili abusi e violenze?
“Alla donna lo vedi anche in viso, per gli uomini è più difficile individuare dei segnali. L’uomo si vergogna e spesso non vuole uscire dalla relazione. L’ottanta per cento degli uomini che si rivolgono ad Ankyra, dicono di “voler salvare la relazione””.
Due storie
Paolo, italiano, libero professionista di quarantacinque anni. Sposato da più di vent’anni con Roberta che non lavora. I coniugi hanno un figlio di 16 anni. Ci telefona dicendo di “provare un disagio che solo ultimamente inizia a riconoscere e che riconduce a una relazione sbagliata con sua moglie”. P è ansioso, depresso, dipendente dalla relazione con la moglie e teme ripercussioni sul figlio e sul lavoro. P. subisce violenza psicologica e fisica dall’inizio della relazione. P. non ha amici, riferisce di essersi isolato di sua iniziativa, in quanto la moglie non approvava le relazioni, mentre Roberta denigra spesso P. con le amiche al telefono in toni svilenti. Paolo non ha una password, il controllo sui social network è totale. La violenza fisica episodica è caratterizzata da sberle pugni, mani al collo, calci. P. riporta un episodio in cui la moglie gli punta un coltello all’addome, di fronte al figlio che assiste e che, come riferisce P. “purtroppo mi somiglia molto”. Seguiamo Paolo nel suo percorso di consapevolezza. Oggi è una persona serena e coltiva una meravigliosa relazione col figlio.
Roberto: italiano, lavora stabilmente, 43 anni sposato da 2 con Francesca “disoccupata per scelta”. Hanno una figlia di 1 anno. Francesca dipende per ogni cosa dalla madre e dalla sorella che abitano al piano sottostante, secondo un rigido modello matriarcale. Roberto riferisce episodi di violenza fisica caratterizzata per lo più da graffi, sberle e privazione del sonno. Un graffio in viso ha rischiato di causare un danno permanente. L’isolamento dalla famiglia di provenienza di Roberto, gli insulti “non guadagni abbastanza!” “Sei un fallito!”, “ Sei un menomato”, “sei la causa della mia infelicità”, sono in atto e continui. R. si è messo in discussione ed ha lottato con costanza e determinazione solo per una finalità: quella di poter amare e crescere la sua bambina che oggi Roberto vede regolarmente e con la frequenza sperata. Il Giudice ha infatti stabilito che è un buon padre ed è indispensabile alla crescita di sua figlia.