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April 8, 2016
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I messaggini di Obama ai Baltici e la replica della Russia

Gli USA manderanno truppe nell'Europa dell'Est, Mosca annuncia una risposta "asimmetrica"

James HansenbyJames Hansen
obama baltici

Una immagine del 2014 del presidente Barack Obama con i leader di Lituania, Estonia e Lettonia

Time: 2 mins read

Qualche giorno fa il Governo americano ha fatto sapere che intende dispiegare delle truppe—poche, per la verità—lungo i confini orientali di alcuni paesi dell’Europa dell’Est per “dissuadere” i russi dal compiere aggressioni. Secondo il Vice-segretario della Difesa Usa, Robert Work, a partire dal febbraio 2017 verranno schierati 4.200 soldati—perlopiù carristi—che ruoteranno tra Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Romania e Bulgaria.

Il generale Ben Hodges, comandante delle forze Usa in Europa, ha spiegato come l’obiettivo sia quello di creare “una presenza costante” di militari americani ai confini est della NATO. Lo scopo—e questo il generale non l’ha detto—è di far sì che eventuali aggressori dovranno passare “sui loro cadaveri” (pochi, ma “Usa”), creando i presupposti politici per una reazione ben più pesante. Il rappresentante russo presso la NATO, Aleksandr Grushko, citato dalla Tass, ha detto che la risposta del suo Paese sarà “assolutamente asimmetrica… calibrata a tal punto da corrispondere alla nostra visione sul grado della minaccia militare e da essere massimamente efficace e non estremamente costosa”.

È un commento curioso. L’appello alla “asimmetria” nella corrente teoria della guerra fa normalmente riferimento al vantaggio più economico che strategico della parte più debole—per esempio, della poco costosa guerriglia rispetto a un esercito convenzionale. Invece, per quanto riguarda gli stati del nordest europeo, la Russia—stando direttamente al confine—è localmente potente. È altrettanto curioso che gli Usa annunciano la loro mossa con quasi un anno d’anticipo—che un po’ equivarrebbe a dire “se dovete invadere, sbrigatevi”. Siccome non hanno interessi a incoraggiare l’aggressività russa, si deve concludere che la dichiarazione sia stata rilasciata più per rassicurare i paesi potenzialmente vittime che per sfidare il presunto aggressore. Washington, sinteticamente, ha mandato una sorta di SMS ai singoli stati baltici: “TP, Barack”, cioè “ti penso…”, che tra fidanzatini forse significa più “non ti ho dimenticato” che “arroventi ossessivamente i miei pensieri in ogni istante”…

Chiudo con un’opinione personale. Non credo che i russi abbiano né interesse né l’intenzione né i mezzi per invadere (o “ri-annettere”) i paesi baltici. È semplice: non se lo possono permettere. In uno dei primi numeri della ‘Nota’ ho sorpreso gli amici ricordando che il Pil della Russia era allora sostanzialmente identico a quello italiano—e che il Belpaese non potrebbe permettersi, pur rinunciando alle irrinunciabili macchine blu, di invadere (poniamo) l’Ucraina. Da allora l’economia russa è drammaticamente peggiorata. Secondo dati del Fondo Monetario, nel 2015 il suo Pil è sceso al 13° posto nel mondo, appena sopra quello spagnolo. L’Italia è rimasta all’8° posto. Le previsioni 2016 sono per un ulteriore peggioramento. Mentre si aspetta che l’Italia resista dov’è, la Russia dovrebbe scivolare al 15° posto, meglio dell’Indonesia, un po’ sotto il Messico. Nemmeno questi paesi potrebbero sostenere il costo di invadere l’Ucraina, di bombardare a lungo la Siria—o di invadere i baltici. Vladimir Putin non ha quei soldi, e non li troverebbe tra le macerie di Riga, Vilnius o Tallinn

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James Hansen

James Hansen

Americano della West Coast, vivo in Italia da molti anni. Sono arrivato, giovane, nel servizio diplomatico USA come vice console a Napoli. Lì ho capito che “da grande” non volevo fare l’ambasciatore. Sono passato al giornalismo come corrispondente dell’International Herald Tribune e del Daily Telegraph, in seguito spostandomi “dall’altra parte della scrivania” come capoufficio stampa di Olivetti, di Fininvest e infine di Telecom Italia. Da tempo mi occupo di “diplomazia privata”, accompagnando grandi aziende italiane nelle loro avventure internazionali. È la diplomazia che mi immaginavo da ragazzo, con obiettivi più o meno chiari e i mezzi e l’autonomia per perseguirli. An American from the West Coast, I have been living in Italy for many years. I got here young, with the diplomatic service as the US vice consul in Naples. There I realized that, as a grown up, I didn't want to be an ambassador. I turned to journalism as a correspondent for the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, and later on, I moved to the “other side of the desk” as chief of press for Olivetti, Fininvest and finally Telecom Italia. I deal with "private diplomacy", backing up large Italian companies in their international adventures. It's the diplomacy as I imagined it when I was young, with more or less clear goals and the means and autonomy to pursue them.

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