di Carmeo Raffa*
Recentemente l'amministrazione comunale di Tortorici, paese incastonato sui Nebrodi, in provincia di Messina, ha dato riconoscimento ad una persona che durante la sua vita ha occupato molto del suo tempo nel sociale e nelle attività storico-culturali. Ci riferiamo al professor Rosario Parasiliti Collazzo, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo ‘Vittorio Emanuele III’ di Patti, prematuramente scomparso nel 2012 in Turchia dove si trovava in viaggio d'istruzione e principalmente persona per bene. Gli impegni politici lo ricordano quale militante dagli anni '70 della Democrazia Cristiana della città oricenze ed in rappresentanza del predetto partito è stato Sindaco di Tortorici dal 17 giugno 1990 al 22 febbraio 1991 e dal 18 giugno 1993 al 27 marzo 1995.
All'epoca venne avversato duramente dall'attuale Sindaco di Tortorici, Carmelo Rizzo Nervo, e dai suoi

Un’immagine di Tortorici
amici della Lista Civica ‘Insieme Per Tortorici’. A causa degli oppositori il professore Rosario Parasiliti subì anche processi penali dai quali ne uscì sempre a testa alta. A distanza di vent'anni la famiglia del professore e i suoi vecchi amici hanno avuto la soddisfazione di vedere riconosciuto l’impegno di Parasiliti per la sua cittadina. Lo scorso 22 agosto 2015, a Tortorici, nel cortile adiacente l'Antica Fonderia-Museo delle Campane, il suo vecchio avversario, Carmelo Rizzo – che oggi, come ricordato, ricopre il ruolo di sindaco di Tortorici – ha reso omaggio all'uomo e allo storico che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della storia locale. Una storia che si intreccia inevitabilmente con l'arte della fusione delle campane, una tradizione che ha reso Tortorici nota in Sicilia e nel resto d’Italia. Infatti, a Tortorici già dal 1400 si fondevano campane destinate alle chiese dell'intera Sicilia e della vicina Calabria.
Il sindaco Rizzo Nervo e alcuni amici e colleghi, nei loro interventi, hanno ricordato lo spessore umano e professionale del compianto professore. Tra gli interventi si evidenzia quello tenuto da Stanislao Franchina, Procuratore Emerito della Repubblica di Lecco. Prima del toccante momento della scopertura della targa, il luogo è tornato a rivivere grazie all'esecuzione del silenzio da parte del professore Maurizio Galati che, con grande maestria, ha suonato le campane fuse negli anni 2000 dal professore Francesco Agliolo, facendo rivivere ai presenti un momento magico in luogo in cui passato e presente si fondono.
Visto che la Fonderia è rimasta integra come al momento in cui venne fusa l'ultima campana nel 1956, l'auspicio di tutti è che la stessa Fonderia- Museo possa tornare a rivivere anche come luogo didattico in cui le nuove generazioni possano apprendere le nozioni basilari della nobile arte della fusione e, in generale della produzione delle campane.
L’avvocato Calogero Randazzo, già presidente del Centro di Storia Patria di Tortorici, ha voluto salutare così il suo amico Rosario Parasiliti. Il suo intervento è importante – e per questo lo riportiamo integralmente – perché parlando di un personaggio che ha scritto un pezzo di stria di Tortorici, ricostruisce anche un mondo la cui memoria andrebbe recuperata per essere consegnata alle generazioni future. Ma anche ai siciliani che non vivono più in Sicilia, magari originari di queste contrade del Messinese, che in queste parole, in questo racconto ritroveranno una parte delle loro radici.
“Caro Saro – dice l’avvocato Randazzo – avrei voluto sentirti raccontare, con quel tuo discorrere affabulatorio, pieno di pause come di chi mentre parla si vede la mente assalita da una folla di pensieri diversi, la triste disavventura capitatati in Turchia e rivelatasi, purtroppo, fatale; avrei voluto sentirti ancora parlare della tua prima opera Tortorici Victoriosa Civitas-Annali 1860-1861, cui dovevano seguire gli annali successivi dei quali avevi già raccolto tutto il materiale che attendeva solo di essere ordinato; avrei voluto ancora sentirti mentre mi parli della tua seconda fatica”.
A questo punto l’avvocato Randazzo rievoca una storia che a Tortorici fece molto discutere: “La campana del litigio – racconta – della quale, in una sera del nostro gelido gennaio,in prossimità della festa di San Sebastiano, mi leggesti la pagina sul vecchio campanaro Mastro Jacopo Marotta che parla agli altri campanari che litigano sull’attribuzione della proprietà di una campana, ritrovata nel fiume dopo la tremenda alluvione del 1682,che i mariani avevano sottratto ai Nicolini, i quali pretendevano di essere gli unici proprietari. Una pagina felice, felicemente riuscita e ripresa dall'emerito Procuratore della Repubblica Stanislao Franchina nella sua affascinante presentazione del libro fatta nella nostra Batia. La trascrivo perché nelle riflessioni del Campanaro scorgo il senso della tua vita”.
A questo punto la parola passa a mastro Jacopo Marotta che raccomanda a tutti la calma: “Questo è un

Un momento dell’antica arte della fusione delle campane
anno particolare – dice il mastro campanaro – il litigio per la campana non solo ha diviso passionalmente tutti, ma violentemente ha quasi profanato il mistero dell'arte della fusione; con questa storia molti improvvisamente sono diventati esperti, nella platea tutti dissertano sulle campane e quasi si considerano fonditori. Io parlo con dolore, mi sono bruciato gli occhi diventando quasi cieco quando, scassando il forno per la colata, sono stato investito dal forte calore e da qualche coccio di bronzo, ma forse comprendo meglio le cose perché non vedo gli uomini che oggi miseramente si affannano in un litigio, dal quale noi dobbiamo restare estranei”.
“Noi siamo stati e siamo artisti girovaghi – ricorda il mastro campanaro – sempre in viaggio per il regno, attenti alla nostra maestria ed estranei alle tante misere beghe che affannano la comunità, siamo i maestri del bel suono e non delle parole rumorose e chiassose. La campana, fredda e taciturna sta immobile appesa alla trave che la sostiene, ma picchiata dal martello o percossa dal battaglio trasmette subito le sue voci sonore. Questa volta è stata picchiata in modo violento e scomposto ed il suono è stridulo e rumoroso. La gente delle campane è abituata a sentire il suono e le giudica per il timbro, solo pochi hanno la possibilità di vederle da vicino, osservarne la fattura. La campana quindi si sente e non si vede, è quasi un oggetto misterioso per i più; anche il fonditore che ne è l'artefice è avvolto in questo alone di mistero, perché a differenza di altri artisti la sua maestria ha a che fare con la terra, l'aria, l'acqua ed il fuoco, i quattro elementi primordiali. Deve sapere lavorare la terra per sagomare, col garbo dell'occhio una bella forma, asciugare la creta, accendere il fuoco, sciogliere i metalli, fare la lega, sentirne l'odore, colare il bronzo”.
Ecco rievocata un’arte antica che aveva come baricentro Tortorici. “Il litigio nel nostro paese – ricorda ancora il mastro campanaro – ha per un momento fatto saltare il tappo di questo forno con il metallo infuocato dentro. L'anima del fonditore che è l'anima di tutta la città viveva quietamente e misteriosamente, all'improvviso si è ridestata e come un vulcano emana dalle sue viscere quanto dentro ribolle provocando distruzione, ma anche passione, meraviglia e stupore. E' anche logico che emergano fatti che, per noi conoscitori della materia, hanno poca importanza, ma hanno alimentato leggende e fantasie contribuendo indirettamente a dare un tono di grandezza, di suggestione, di intrigo, di fascino e d'ammirazione alla nostra arte. Ed io, che ora quasi cieco vivo allevando bachi da seta e aiuto qualcuno nella sagomatura della creta v'invidio, perché terribilmente mi manca il colore e la fluidità del metallo che ribolle nel forno, il flusso della colata che dà forma alla campana, che dopo tante fatiche sarà issata, con giubilo del popolo, su una torre campanaria per diventare bronzea voce che loda Dio, convoca il popolo, scaccia i demoni e le tempeste scema, chiama i viventi al cui morire geme, dichiara la guerra, annuncia la pace, allontana la peste e sconfigge la nera fame. La campana solitaria e messaggera scandisce il tempo e segna i fatti delle piccole e grandi comunità. Cambiano le epoche e le circostanze, ma la campana è sempre la stessa perché la sua forza è la capacità di emettere tanti suoni che si caricano di significati diversi trasmettendo emozioni, gioia, dolore, pace, paura, speranza. Ecco perché noi siamo considerati strani e magici, perché facciamo vibrare il cuore degli uomini, parliamo all'anima e non alla ragione, per questo siamo ammirati”.
“In questa dimensione complessa – racconta sempre il mastro campanaro – il nostro è un lavoro nobile, perché noi diamo forma, suono e voce alla materia, non siamo chiacchieroni, parolai, ma sappiamo comunicare con un linguaggio universale, per questo siamo convocati, stimati, ammirati e talvolta sospettati. Io che ripeto sono quasi cieco, vivo producendo seta assieme a mio suocero Michelangelo Parasiliti, allevo i bachi, coltivo il gelso, curo il nutricato, produco il filo, litigo per il prezzo, un'attività che rende bene e mi fa vivere agiatamente, ma non ho la fortuna di vedere il prodotto finito da me, perché altri lo tessono, altri ancora lo colorano, altri lo vendono, altri lo cuciono. Rispetto alla campana che è un'opera prodotta dalla mia maestria, dal disegno alla fusione, l'allevamento è un piccolo segmento della complessa fase di lavorazione della seta che si conclude con un’estenuante contrattazione mercantile sul prezzo, in una squallida fiera”.
“Quando si completa la campana – ricorda ancora l’artista – c'è l'orgoglio per una sfida vinta, c'è la folla che l'ammira, che la solleva sul campanile, c'è l'ansia per sentire il suono buono e perfetto e se tutto va bene lo scampanio a voga diventa l'orgoglio per un'opera fatta con ingegno e maestria, apprezzata e applaudita da tutto un popolo festante che ha ritrovato una nuova voce. Per l'insieme di queste cose siamo stati sempre famosi. Non ci dobbiamo affannare, né angustiare per questa temporanea bega che il popolo vive come passatempo. Fra qualche mese il popolo troverà un nuovo motivo per litigare, dividersi e poi un altro ancora. La Societas non si deve far coinvolgere in questo laghetto di litigi. Noi siamo altra cosa e per un momento fate come me, non guardate i volti facinorosi e rancorosi della plebe”.
A questo punto la parola ripassa all’avvocato Randazzo che torna a parlare dell’amico scomparso e, soprattutto, delle tradizioni di Tortorici: “Avrei voluto risentire, a proposito della presentazione di questo libro, le risate che ci facemmo quando nel preparare la locandina litigavamo sull’opportunità di inserire una frase latina tratta dalle iscrizioni di una campana. Disincantato e irriverente intervenne il tuo caro rampollo Oscar, al quale in questo momento di tristezza va tutto il mio affetto insieme ad Antonio e Clelia, che ci smontò dicendo: ‘Ma che ci litigate a fare, tanto a leggerla la scritta in latino sarete solo in due, voi due soli!’. Avrei voluto ancora vederti mentre abilmente ti destreggi, quale presidente della commissione del Santo patrono, fra i ‘nudi’ che, animati di spirito divino,fanno ballare la vara del Santo con grande disappunto dell'accigliato Arciprete; avrei voluto ancora vederti mentre indossi la elegante divisa dei ‘Cavalieri dei Nebrodi’,divertito della compagnia non proprio bene assortita, fatta di cavalli scarsamente adusi ai tornei e di cavalieri piuttosto improvvisati; avrei ancora voluto sentirti parlare della Riserva Naturale Calagni e della Petagnia Saniculaefolia che vi vegeta e che tanto ci faceva sorridere, sotto il tuo sguardo ironico e indulgente, perché, sonnacchiosi e ignoranti, ritenevamo che si trattasse di una comune erba di campo e non di quella inestimabile rarità protetta dalla Convenzione di Berna; avrei voluto che tu avessi mantenuto la promessa di scrivere la storia del nostro Circolo Orice fondato nel 1864, che dovevamo stampare – seguendo la lievità da te tante volte dimostrata nelle più importanti manifestazioni del Centro di Storia patria di cui sei stato anche Presidente – con un giurassico ciclostile recentemente donatoci; avrei voluto sentire ancora l'entusiasmo con cui mi parlavi dei festeggiamenti per il 75° anniversario dell'istituzione a Patti del (nostro) Liceo Classico, per seguir virtute e canoscenza, e di ‘Tindari Teatro Giovani’ a cui dedicavi gran parte del tuo tempo; tutto questo avrei voluto sentire io, unitamente ai molti amici che ebbero la fortuna di conoscerti e ammirarti”.
“Tanto non ci è stato dato – dice ancora l’avvocato Randazzo – ci resta solo un mesto corteo accompagnato da un triste suono di campane, a ricordo delle opere con cui hai fatto vibrare il cuore degli uomini, hai parlato all'anima e non alla ragione, hai trasmesso emozioni, gioia, speranza; proprio come il tuo mastro campanaro Jacopo Marotta.
Arrivederci Calogero”.
Il Liceo ‘Vittorio Emanuele III’ di Patti in tutte le sue componenti saluta con grande affetto e stima il professor Rosario Parasiliti, colonna portante della nostra scuola che per tanti anni ha servito generazioni di studenti e la comunità tutta con dedizione, grande professionalità e immensa conoscenza. Vicino agli studenti, ha trasmesso loro la passione per le discipline storico filosofiche e molti ne hanno seguito l’esempio. Vicino ai Dirigenti Scolastici che si sono susseguiti e ai colleghi, ha offerto a tutti accoglienza pronta, preziosi consigli e costante vicinanza in ogni problematica che la comunità educante via via affrontava. Interprete della grande tradizione classica e scientifica, ha sempre saputo aprirsi con generosità e professionalità ad ogni istanza della società civile, coniugando innovazione e tradizione, mostrando curiosità intellettuale e apertura al nuovo.
Storico appassionato, amante delle tradizioni popolari, bibliofilo e saggista, ha affrontato numerosi argomenti con certosino lavoro, dedicandosi intensamente anche al suo paese natio, Tortorici, che non ha mai abbandonato e per il quale ha profuso impegno civile e politico, esercitando con equilibrio, serenità di giudizio e ineguagliabile senso di responsabilità il mandato sindacale in uno dei periodi più complessi dal punto di vista amministrativo e politico.
Impegnato in tutti i progetti dell’Istituto, si dedicava con viva passione a ‘Tindari Teatro Giovani’, che gli dava l’opportunità di mostrare la sua consolidata esperienza e le sue qualità relazionali, unite alla sua leggera ironia e al fiducioso amore per le nuove generazioni.
Il Direttore dei Servizi Amministrativi e Generali, i colleghi e il personale ATA porteranno sempre nel cuore la sua presenza attiva, solidale e carica di un’umanità che si manifestava in tutti i momenti della vita scolastica, il suo ottimismo e la sua capacità di rendere lievi e semplici anche le situazioni più difficili.
Il Dirigente Scolastico attuale nel ricordare l’amicizia di tanti anni, la disponibilità disinteressata e le ammirevoli e poliedriche competenze, esprime gratitudine immensa per l’apporto generoso e insostituibile che ha saputo offrirgli.
Infine non può mancare un breve ricordo di Parasiliti da parte di chi scrive quest'articolo. Saro Parasiliti è stato un bravo amministratore, un appassionato della cultura e della sua terra ed è stato una persona onesta e per bene. Chi lo ha denigrato in passato se n'è pentito.
Saro Parasiliti è stato principalmente un eccellente padre di famiglia. È scomparso improvvisamente nell'esercizio del suo Lavoro.
Caro amico Saro all'anima Tua.
* Carmelo Raffa tiene una rubrica di politica pe ril nostro giornale. Oggi, però, ha deciso di raccontare una storia del suo paese, Tortorici, sui monti Nebrodi, provincia di Messina. Raffa, come ogni anno, è stato in vacanza nel paese dov'è nato. E lì ha preso parte alla commemorazione di un uomo che, per anni, è stato un punto di riferimento non soltanto per Tortorici, ma per tante generazioni di ragazzi, visto che, nella vita, insegnava Storia e Filosofia nel Liceo Classico di Patti. Rievocando questo personaggio – Rosario Parasiliti – che è stato anche sindaco di Tortorici – la memoria, vista anche la passione per la storia patria del professore Parasiliti – è andata a una grande tradizione di Tortorici: la produzione delle campane che, per secoli, hanno accompagnato e scandito la vita degli uomini.