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We will forget soon: Stefano Corso e Dario Jacopo Laganà sulle tracce dell’Armata Rossa

Laura CaparrottibyLaura Caparrotti
Immagine di un soldato sulla parete esterna di una caserma

Immagine di un soldato sulla parete esterna di una caserma

Time: 4 mins read

L'Armata Rossa dei Lavoratori e dei Contadini, meglio conosciuta come Armata Rossa, fu il nome dato alle forze armate dell'Unione Sovietica dopo la disintegrazione delle forze zariste nel 1917. Istituita grazie ad un decreto del Consiglio dei Commissari del Popolo, divenne l'esercito dell'Unione Sovietica nel 1922. Fondatore uno dei padri della rivoluzione russa, Lev Trockij. L'Armata Rossa fu fondamentale nella lotta contro la Germania nazista e nella conseguente liberazione di Berlino e Vienna. Nel 1943, quando l'Armata Rossa era nel suo momento di maggior importanza, contava più di dieci milioni di effettivi, tra ufficiali, sottufficiali e soldati, ed era equipaggiata con migliaia di carri armati e cannoni moderni. Dopo la fine della guerra il nome venne cambiato in Armata Sovietica e oggi l'Armata Rossa è solo un ricordo che sta pian piano svanendo.

I due fotografi italiani Stefano Corso e Dario-Jacopo Laganà hanno intrapreso un viaggio che ha scoperto palazzi abbandonati, poster, tessere e moltissime altre testimonianze che ancora vivono in varie parti della Germania, una volta dell'Est. Un'avventura durata due anni, durante i quali hanno esplorato ben 300 luoghi, er un totale di ottomila chilometri percorsi, e scattato qualcosa come diecimila fotografie. We will forget soon è il progetto fotografico che ne è scaturito, realizzato da Zukunft Erinnerung Dokumentation (ZED) Fotografie e.V. e sviluppato proprio da loro. A raccontarcelo è Stefano Corso.

Come e perché è nata l'idea di fotografare i luoghi abbandonati dell'armata rossa?

Dario e io siamo due fotografi curiosi ed appassionati di storia del ‘900. Come molti che vivono qui a Berlino, e con l’aiuto e la spinta iniziale di un amico, abbiamo cominciato ad andare in giro per posti abbandonati intorno alla città (ce ne sono tantissimi) e successivamente abbiamo cercato di dare un senso alle nostre peregrinazioni in chiave decisamente più progettuale. Di tutto il periodo dopo la fine della seconda guerra mondiale ci siamo concentrati sull’aspetto presenza dell’Armata Rossa nella Germania dell’Est, presenza che è durata dal 1945 fino al 1994. Tema sicuramente passato in secondo piano nella storia della Germania, dopo la caduta del muro, per tutte le vicende legate alla riunificazione tedesca, nonostante sia ancora ben visibile nei territori della vecchia Germania dell’Est.

Come è stato il percorso?

Di documentazione della presenza dell’Armata Sovietica ce ne è, ma non moltissima e non di facile reperibilità. Internet ci ha aiutato molto tramite articoli, fotografie, mappe satellitari e forum di discussione di veterani dell’Armata Rossa, ancora molto attivi nello scambiarsi ricordi. Da lì abbiamo cominciato a viaggiare in macchina alla scoperta di questi luoghi. Non solo posti abbandonati, ma anche riutilizzati con altra destinazione.

Cosa avete scoperto di veramente inimmaginabile o comunque di sorprendente che non vi aspettavate?

Di aneddoti ne abbiamo tantissimi, ma quello che forse ci ha colpito umanamente di più è stato l’incontro con una persona in una base abbandonata in mezzo al nulla, che in russo ci ha chiesto se potevamo fargli una foto sul palcoscenico del teatro della base: all’epoca era il figlio di un ufficiale che tornava in una sorta di viaggio indietro nella sua infanzia, a distanza di 30 anni, nella base distrutta dal tempo. Si ricordava di aver fatto una recita su quel palco. Un’altra scoperta sorprendente è stata il trovare in un vecchio complesso ospedaliero di origine prussiana due edifici gemelli identici, uno dimenticato e in disfacimento e l’altro ancora in uso come struttura di riabilitazione neurologica. Ognuno reciprocamente il futuro e il passato dell’altro.

Avete avuto reazioni degne di nota durante il lavoro da parte di esterni al lavoro (abitanti, polizia, curiosi…)?

Non abbiamo incontrato molte persone, siamo stati fermati una volta dalla polizia e un’altra da loschi personaggi che utilizzavano una delle basi, ma senza conseguenze. In generale le persone qui in Germania sono invece molto incuriosite dal fatto che due italiani si interessino di questo aspetto della loro storia.

Il titolo è bellissimo. Da dove nasce?

Il titolo è un’invenzione di Dario, probabilmente non esattamente corretta da un punto di vista grammaticale in inglese, ma rende proprio per questo. Alla base c’è l’idea che se non si preservano parti di memoria collettiva, positive o negative che siano, l’umanità tenderà sempre a commettere gli stessi errori. Il titolo nasce in maniera un po’ provocatoria da questa consapevolezza.

Domanda forse ovvia, ma da fare: con le nuove tecnologie dove vedi andare la fotografia?

Stai parlando con uno che sta tornando sempre di più a sperimentare in pellicola e con vecchie macchine fotografiche per riappropriarsi di un concetto di fotografia artigianale. In questo periodo si nota sempre più una inflazione di mezzi e di tecnologie che paradossalmente allontana i numerosi nuovi fotografi da risultati consapevoli di qualità fotografica. Si scatta molto, si capisce poco di quello che si fa, rischiando di far diventare il risultato un mero fatto statistico. Scatto 300 foto, 10 saranno buone. Come in tutte le cose una maggiore coscienza delle proprie azioni e visioni del mondo, non solo da un punto di vista tecnico ma anche espressivo, aiuta più di una reflex da 3.000 euro.

Avete intenzione di continuare in questo filone e dedicarvi ad altri progetti simili, per non dimenticare quello che si sta dimenticando?

Abbiamo fondato qui in Germania una associazione che si occupa di fotografia, memoria e storia. L’idea è di continuare con progetti tematici, non solo limitati alla Germania. Tempo libero e futuro ci diranno.


La mostra, da Berlino, al Meinblau Projektraum, nell'ambito della Berlin Art Week, andrà ad Hellerau e poi nel 2016 a Prora. Il 30 settembre, invece, in Campidoglio, Stefano Corso e Dario Jacopo Laganà presenteranno il progetto, spiegando la metodologia di lavoro e il futuro di We will forget soon.

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Laura Caparrotti

Laura Caparrotti

Ho cominciato a fare teatro nell'ingresso di casa mia, a Roma. Poi sono venuti i maestri, la laurea in discipline dello spettacolo e le tournée. Nel 1996, New York, nello storico The Kitchen. Vent'anni dopo sono ancora qui. Ho fondato una compagnia, la Kairos Italy Theater, specializzata in cultura italiana, e In Scena! Italian Theater Festival NY, un festival che porta il nostro teatro in tutti i distretti della città. Il teatro è la mia grande passione, insieme al ballo e alla (magggica) Roma. A New York ho anche iniziato a scrivere (proprio con Stefano Vaccara nel 1997), a insegnare teatro, a fare voice over e la dialect coach. Il tutto condito da un inconfondibile – ma affascinantissimo, mi dicono – accento italiano.

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