La banana – nome scientifico Musa acuminata, Musa balbisiana o l’ibrido Musa acuminata x balbisiana –, originaria del Sudest asiatico, rimane ancora un alimento fondamentale in tutta l’Asia, l’Africa e le isole dei Caraibi, ma rappresenta anche uno spuntino, un dessert e un ingrediente di alcuni dolci in Europa e Nord America (celebre il banana bread, sorta di plum-cake alla banana). Coltivata in oltre cento Paesi, è il frutto più diffuso al mondo e rappresenta il quarto alimento fondamentale in termini economici dopo grano, riso e mais. Come per numerosi altri alimenti, oggetti o avvenimenti, proprio oggi – il terzo mercoledì di aprile – si celebra il World Banana Day.
Dal punto di vista botanico, la banana non è un frutto, ma una bacca apirena, cioè senza semi. Forma grossi grappoli, detti caschi, pesanti anche 40 chilogrammi, che nascono da grandi fiori a lacrima viola e rossi. Le foglie del banano sono grandi e piatte e localmente sono spesso utilizzate per rivestire i tetti o come ombreggiante. Le parti commestibili non crescono sul tronco, ma su una struttura radicale: è quindi una pianta erbacea, anche se molto grande. Incerto l’etimo di ‘banana’: si suppone che derivi dalla parola greca ‘banan’ che significa ‘dito’, ma si ritiene più probabile che derivi da una lingua dell’Africa occidentale subsahariana, forse dalla parola della lingua wolof ‘banaana’.
Il banano ha avuto probabilmente origine nel Sudest asiatico, in un territorio compreso tra l’India, la Malesia, l’Indonesia e Papua Nuova Guinea. Da lì si è diffuso ampiamente in altre parti dell’Asia e, verso il 1000 a.C., nel Madagascar per poi svilupparsi anche in Africa. Forse ha attraversato il Pacifico ed è giunto dall’Asia in Sud America verso il 200 a.C. In Cina già dal 200 d.C. erano presenti coltivazioni organizzate, mentre era pressoché sconosciuto nell’Europa medievale. Con i traffici commerciali la banana è stata trasportata in Africa grazie agli Arabi, ma l’arrivo nel Vecchio Continente si deve ai portoghesi: dal XVI secolo lungo la via per le Indie, attratti e persuasi dal profumo e dal sapore di questo strano “fico”, ne introdussero la coltivazione nelle Isole Canarie. Si ritiene poi che sia stato un frate spagnolo – Thomas de Berlaga – dopo la scoperta del Nuovo Mondo a introdurre il banano dall’Africa all’isola di Santo Domingo, nei Caraibi, nel 1516. Quando la sua coltivazione fu insediata in America centrale e meridionale, la banana non solo fornì un cibo economico e conveniente alla popolazione di schiavi di quella regione, ma le piante furono utili ai coloni per proteggere altre coltivazioni, come quelle del cacao e del caffè. Nel XX secolo, l’avvento di navi refrigerate permise il trasporto di questo frutto in tutto il mondo, garantendone così la diffusione.
Nonostante esistano circa cinquecento varietà di banana (si dice addirittura mille), la cultivar attualmente predominante è la Cavendish a frutto grande, così chiamata dall’inglese William Cavendish (1790 – 1858), VI duca del Devonshire, che nel XIX secolo coltivò con successo banani importati dalle Mauritius nella serra della sua tenuta. In precedenza era la Gros Michel la varietà commerciale più coltivata e consumata fino agli anni ’50 (era più dolce e “sapeva più di banana”), quando a causa della sua sensibilità a un fungo parassita, venne sostituita con l’attuale Cavendish che copre il 47% della produzione mondiale.

Le banane pesano normalmente 90-200 grammi (circa il 20% del peso è costituito dalla buccia), ma anche questo dato varia considerevolmente fra le differenti cultivar. Oltre alle tradizionali banane gialle, in commercio si trovano anche banane rosse (più propriamente rossicce con punte di colore che vanno dal viola al marrone in base al grado di maturazione) che, oltre alla diversa tonalità di buccia, si distinguono per la polpa color avorio e un gusto molto simile a quello della classiche banane, ma con un leggero sentore di lampone. Esiste, poi, una particolare varietà di colore blu conosciuta come Blue Java diffusa in Centro America, nel Sud Est asiatico, nelle isole Fiji e alle Hawaii. Detta anche Ice Cream Banana, ha polpa cremosa, quasi come quella del gelato, dal sapore incredibilmente dolce e aroma che ricorda molto la vaniglia.
La raccolta delle banane viene fatta al cosiddetto stadio ¾ pieno, quando ancora il colore del frutto è verde continuando ugualmente a maturare anche dopo il distacco dalla pianta. Il trasporto dal Sud America (principalmente dall’Ecuador) all’Unione Europea presso l’Euro Fruit Ports di Anversa in Belgio, il maggiore importatore al mondo di questo frutto, dura 2-3 settimane. Le banane vengono caricate in speciali container refrigerati a una temperatura di 13-13,5°C e questo fa sì che il profumo e il sapore perdano di intensità.
I supermercati acquistano dagli importatori solo banane che rientrino tra i gradi 1 (totalmente verde) e 3 (verde con tratti gialli) di colorazione. Tutto il resto non lo accettano e se consegnato, viene rispedito al fornitore. A questo punto, l’unica alternativa degli importatori è provare a venderle negli ortomercati, ma il tempo passa le banane maturano e anche qui si accetta al massimo fino al grado 5 (gialla con estremità verdi). Le banane classificate con grado 6 (gialla) e 7 (gialla con macchie marrone) vengono buttate o donate a enti caritatevoli.
Nel 2024 i quattro maggiori produttori sono stati, nell’ordine, India, Cina, Indonesia e Brasile. Il Paese con il più alto consumo di banane è l’Ecuador con 101,5 chilogrammi pro capite. In Italia esistono coltivazioni di alcune decine di ettari localizzate all’interno della Conca d’Oro in Sicilia che, tuttavia, riescono a produrre solo poche centinaia di tonnellate all’anno delle varietà Musa capriciosa e Musa paradisiaca e non la Musa acuminata a cui appartiene la cultivar Cavendish. La prima è molto più lunga e tozza della più diffusa Cavendish, mentre la seconda è più piccola, tondeggiante di un bel colore giallo paglierino, polpa carnosa dal sapore dolce e aromatico con un leggero retrogusto di cannella.