L’Italia è ripartita. Il 18 maggio il governo ha allentato definitivamente le misure restrittive di emergenza e la vita come la conoscevamo prima del lockdown sembra ristabilirsi.
Infatti a distogliere l’attenzione della stampa, almeno per qualche giorno, sono state la Puglia e la Sicilia dopo che a inizio mese si sono alzate a gran voce polemiche da parte della regione Puglia nei confronti dell’isola per la richiesta, divenuta operazione, di coltivare il vitigno ‘Primitivo’ sui propri terreni.
Si parla di un vitigno autoctono pugliese che è piena espressione di questo territorio, cavallo di battaglia dei vini tra Manduria e il Salento e patrimonio di una regione che solo recentemente è stata valorizzata per la grande qualità dei vini che produce, non solo per la sua quantità.
Quello che sorprende però è che il vitigno in questione viene già coltivato in altre 7 regioni italiane, precisamente in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Sardegna, Umbria e Molise.
Ma il provvedimento per la produzione di questo vino in Sicilia sembra aver fatto suonare un campanello d’allarme che ha riunito le associazioni in uno squadrone pronto all’attacco, a tutela della salvaguardia di tradizione e cultura enologica pugliese.
Tra queste associazioni, oltre al consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria DOC e DOCG e il consorzio Gioia del Colle, anche il consorzio del Salice Salentino, il consorzio di Brindisi e Squinzano, il consorzio dei vini DOC e DOCG Castel del Monte, l’associazione nazionale Le Donne del Vino delegazione Puglia, il consorzio Movimento Turismo del Vino Puglia, Assoenologi Puglia Basilicata e Calabria, Cia-Agricoltori Italiani Puglia e la Confagricoltura Puglia.

Il Primitivo è un vino che recentemente ha trovato ampio spazio commerciale sia in Italia che all’estero e la Sicilia sarebbe stata accusata di volersi appropriare indebitamente dell’immagine di questo gioiello dell’enologia italiana, una mossa che è stata definita ‘puramente commerciale’ e che, come riportato in un messaggio comune dalle associazioni sopracitate, offenderebbe la storia pugliese.
Le sperimentazioni sulla produzione di questo vino in Sicilia però risalgono agli anni ’90, il progetto fu poi accantonato e ripreso solo pochi anni fa. Infatti, il 9 agosto dello scorso anno, è stato emanato il provvedimento che avrebbe permesso alle aziende siciliane di coltivare il vitigno sui propri terreni, ma solo recentemente si è trasformato in fatto poiché queste sperimentazioni hanno portato negli ultimi anni a buoni risultati, aumentando la richiesta da parte delle produzioni regionali del permesso per coltivare l’uva.
A tutela del vitigno in questione c’è comunque il decreto del 13 agosto 2012 che non ammette l’applicazione del marchio Dop e Igp sui vini da Primitivo prodotti sull’isola, come conferma con rigore anche la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova.

“La legislazione europea e i corrispondenti decreti nazionali, come sa chi li conosce, proteggono i riferimenti territoriali, le cosiddette indicazioni geografiche, ma non creano la protezione giuridica delle varietà né impediscono che quelle uve possano essere coltivate anche altrove. Purtroppo questa è un’epoca in cui nessuno più studia o semplicemente si documenta ed è ben triste una politica che cavalca qualsiasi cosa pur di guadagnare un po’ di visibilità, ingenerando confusione e peraltro legittimando aspettative di tutti i generi”.
E Bellanova continua:
“In Sicilia, come in altre regioni italiane, non si può impedire, dopo necessaria sperimentazione, l’impianto di viti Primitivo ma i vini Dop e Igp ottenuti non potranno mai essere etichettati con l’indicazione in etichetta del nome del vitigno.
Nel decreto ministeriale del 13 agosto 2012 è infatti indicato senza equivoci come quella varietà possa essere solo usata nell’etichetta di vini DOP o IGP della Puglia e delle regioni: Basilicata, Campania, Abruzzo, Umbria, Lazio e Sardegna. Pertanto – continua- nulla vieta che anche la Sicilia, dopo adeguata sperimentazione, lo classifichi prima in osservazione e poi lo dichiari eventualmente idoneo alla coltivazione. Resta il fatto che la coltivazione del Primitivo non consente in aree diverse dalle Dop e Igp indicate nel decreto del 13 agosto 2012, l’uso del termine varietale sulla bottiglia”.
La Ministra cita anche la presenza del vitigno Nero D’Avola sul territorio pugliese, uva che è immagine indiscussa della Sicilia e produce uno dei vini più conosciuti del mezzogiorno. Tranquillizza così le associazioni e le aziende pugliesi “Mai consentirò che una bottiglia di vino siciliano Dop o Igp possa chiamarsi ‘Primitivo’, esattamente come solo le Dop e Igp Siciliane possono utilizzare il nome del vitigno ‘Nero d’Avola’, e questo nonostante il vitigno possa essere coltivato in altre regioni che lo hanno inserito nell’elenco delle varietà raccomandate e autorizzate”.
Come appello al buonsenso delle produzioni vitivinicole del sud Italia, Bellanova continua e conclude: “Un’accortezza maggiore sarebbe consigliata anche in questo caso perché non si ingenerino allarmi ingiustificati e conflitti tra Regioni, soprattutto del Mezzogiorno, che anzi dovrebbero e potrebbero fare della qualità e della valorizzazione delle loro eccellenze una battaglia comune e una strategia di posizionamento globale”.
È nell’interesse di tutta l’Italia salvaguardare l’immagine di territorialità e tradizione di tutte le nostre produzioni, sopratutto dal momento che la ricchezza enogastronomica nazionale rappresenta un gioiello italiano che nessuno più si sognerebbe di mettere a rischio.
Ma un Primitivo siciliano sembra proprio non andare giù alla Puglia.
Un affronto alle parole ‘territorialità’, ‘tradizione’ e ‘unicità’ tanto care a chi il vino lo produce ma anche a chi il vino lo comunica.
Ma dal momento che, già ad oggi, la Puglia non detiene l’esclusiva di questo vitigno sul proprio territorio, sarà davvero così grave la coltivazione di quest’uva in Sicilia?