È un piatto povero perché fatto in campagna dai contadini, ed è quindi molto raro trovarlo nei ristoranti. Eppure questa pietanza non può mancare nel ricettario di chi vuole conoscere la cucina siciliana fin dalle sue origini. Secondo il mio modesto parere questo è infatti un piatto che certamente ci deriva in linea diretta dai greci. Il maccu è una polenta – minestra di fave secche. I legumi si fanno cuocere tanto a lungo che ammaccandole (da ciò deriva il nome) si trasformano in densa purea. Il puré di fave, insaporito con finocchietto selvatico e pecorino grattugiato, viene mescolato alla pasta corta cotta precedentemente. Tutto qui?, direte voi. Certamente non è un cibo molto elaborato, ma quanti secoli deve avere sulle spalle questo cibo, se, come dice Denti di Piraino, esisteva nelle commedie Atellane un servitore di quelli furbi che si chiamava Macco perché gli piacevano le fave (da La cucina di Sicilia di Giovanni de Simone Edizioni d'Arte Nuovo Sud, 1974).

Orietta Mongioví ama la famiglia (cane compreso), i viaggi, i libri e la cucina. È tra i fornelli non appena gli impegni da dirigente in Prefettura a Palermo glielo consentono, usando preferibilmente prodotti a km 0
Questi gli ingredienti:
500 gr di fave secche
150 gr pecorino semi stagionato
finocchietto selvatico q.b.
olio E.V.O.
sale e pepe
Il maccu chi fave
Il procedimento, come avrete capito, è molto semplice, si fanno lessare le fave secche, tenute a bagno per 12 ore almeno, e via via si vanno "ammaccando" con la forchetta, oppure, per velocizzare, si può optare per l'alternativa più moderna, sebbene meno ortodossa, di una prima cottura in pentola a pressione (20 minuti circa) completando poi il procedimento con la pentola scoperta.
Si può gustare anche senza pasta con scaglie di pecorino, finocchietto e un giro d'olio extravergine, come ho fatto io questa volta, oppure farne una vellutata un po' più fine, e meno densa, servendola con dei gamberi saltati in padella con aglio e peperoncino.