Una città che si sbriciola sotto il peso di palazzi lussuosi e torri scintillanti, quartieri storici che diventano luoghi senz’anima, comunità che si sfaldano, lasciando dietro di sé strade vuote e certezze crollate. È un po’ come quando una famiglia si trova a pezzi, con una madre che abbandona tutto e un padre troppo distante, perso tra i fumi dell’alcol e le ombre delle proprie debolezze. È su questo crinale, sottile e pericoloso, che si muove Still Here, il film quasi-documentario di Suranga Katugampala, regista nato a Negombo, Sri Lanka, e cresciuto in quel microcosmo milanese che è il quartiere Corvetto.
Presentato nella sezione Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma, Still Here esplora i temi dell’abbandono e dell’isolamento, un mix di solitudini: quelle di un’istituzione che non sostiene, quelle di famiglie che non riescono a tenersi insieme, e di figli che ne pagano il prezzo più alto. “Un miracolo se da grandi non diventeranno criminali”, si potrebbe dire. Il film segue Nico, un’attrice relegata ai B-movie, che lascia i figli a un padre incapace di badare persino a se stesso. Ma la trama, alla fine, è solo un pretesto: il vero obiettivo è creare un ponte tra due mondi paralleli, sospesi tra sogno e realtà, che ci spingono a riflettere su un’idea di città, di vita, che non si esaurisce in parole alla moda come “smart” o “green”. Perché dietro ogni promessa futuristica c’è sempre l’ombra dell’inganno.
“Ho voluto spingermi oltre i cliché”, racconta Katugampala, “ispirandomi a un’opera come Tabù di Miguel Gomes, dove il Portogallo e il Mozambico si fondono, senza essere mai davvero in uno o nell’altro posto. Anche qui siamo a metà tra Corvetto e Salve Island, ma in fondo, potremmo essere ovunque. La gentrificazione ci trasforma in non-cittadini, abitanti di non-luoghi dove il senso di appartenenza si dissolve”.
Una favola nera che ci riporta a un senso di smarrimento collettivo, mentre sopra le nostre teste la vita si eleva distante, indifferente, lasciandoci piccoli e invisibili nel suo passaggio. È un noir che mescola influenze asiatiche con richiami alla Berlino di Fassbinder, quella delle solitudini condivise e delle ultime osterie dove ci si sente ancora a casa. “Dobbiamo ricordarlo”, continua Katugampala, “quando perderemo anche l’ultimo bar che ci restituisce identità, avremo perso una radice profonda. E non importa se sei figlio di uno straniero o di quella città stessa”.
Un film insolito, che nel panorama italiano si distingue non solo per la storia che racconta ma anche per come è stato realizzato. Nato da un progetto indipendente , sostenuto con fatica da Rai Cinema, Still Here ha richiesto oltre quattro anni di lavoro. “Un progetto atipico”, confessa Graziano Chiscuzzu della casa di produzione 5e6, “fatto con un budget ridotto e un amore smisurato per il quartiere. Perché volevamo lasciare a Corvetto qualcosa in più, non qualcosa in meno, come spesso fanno le produzioni mordi e fuggi”.
Un film che vuole lottare contro l’invisibilità, contro l’indifferenza di città che dimenticano chi le ha abitate. Still Here non è solo ancora qui, ma è la voce di chi non vuole farsi cancellare.