Entrare nella musica di Bruce Springsteen non è mai stato semplice. Si rischia di perdersi tra stereotipi e cliché, come l’immagine del rocker patriottico tutto muscoli e bandana, o del simbolo dell’America dei maschi bianchi nostalgici. Ma la verità è ben più complessa, e Road Diary, Bruce Springsteen and The E Street Band, il nuovo documentario diretto da Thom Zimmy, in uscita il 25 ottobre su Disney+ e presentato alla Festa del Cinema di Roma, lo dimostra perfettamente.
Il film segue la E Street Band mentre si prepara al tour del 2023, dopo anni di pausa forzata. È come riaccendere un motore arrugginito, un processo che richiede tempo e fatica. Gli stadi rimasti vuoti, le chitarre appoggiate al muro come reliquie di un passato sospeso. Ma ora, con il mondo che torna a girare, Bruce è lì, pronto a fare ciò che sa fare meglio: portare la sua musica al suo pubblico.
E come sempre, non è solo questione di rock’n’roll. Il Boss, come è stato soprannominato dai suoi fan fin dai giorni del New Jersey, ha sempre suonato per dare voce a chi non ce l’ha. Nelle sue canzoni c’è l’America ferita, quella degli operai che non trovano lavoro, dei reduci di guerra dimenticati, e più di recente, dei migranti che attraversano confini cercando una vita migliore. Road Diary scorre proprio su questa linea sottile: la continua tensione tra sogno e realtà, tra le promesse di grandezza dell’America e ciò che, alla fine, è in grado di offrire davvero.

Il film ci riporta ai giorni in cui la E Street Band suonava nei piccoli club, stipata in un furgoncino che macinava chilometri tra una città e l’altra. Ma la magia è la stessa oggi, davanti a migliaia di persone in stadi enormi. La band è invecchiata, è vero, ma il fuoco non si è spento. C’è Jake Clemons, che ha preso il posto dello zio Clarence, scomparso nel 2011, e Patti Scialfa, che parla apertamente della sua battaglia contro il mieloma multiplo. Eppure, nonostante tutto, la musica resta l’unica cosa che conta davvero.
Chi ha assistito a un live di Bruce sa che è un’esperienza unica. Come ha notato il chitarrista Steve Van Zandt, i suoi concerti hanno qualcosa di “messianico”. Il pubblico diventa parte dello spettacolo, una celebrazione collettiva. E Road Diary cattura tutto questo: il sudore, le grida, le lacrime di gioia. Alla fine, non importa se hai sentito Born to Run cento volte, perché quando lui la suona dal vivo, sembra sempre la prima.
Il momento più intenso del film arriva verso la fine, quando Bruce, solo sul palco, intona I’ll See You in My Dreams. La band si è già ritirata, ma lui resta lì, in piedi, con la chitarra in mano e la voce che si spezza tra le parole. È un momento di riflessione, di malinconia, ma anche di speranza. Perché Springsteen sa che il tempo passa, che i tour futuri potrebbero essere meno frequenti, ma c’è una cosa che non cambierà mai: la sua volontà di portare la musica a chiunque voglia ascoltarla.