Julie Keeps Quiet segna l’inizio di una nuova era per il grande schermo, con la stella nascente Tessa Van den Broeck davanti alla macchina da presa e il regista belga Leonardo Van Dijl dietro. Ma attenzione, questo film, presentato in Alice nella Città, è quasi un manuale freudiano che scandaglia ogni angolo oscuro della psiche umana, dai sensi di colpa alle scelte di carriera. Un’operazione di ribaltamento totale rispetto a film recenti come Challengers, dove la coach donna detiene tutto il potere. Qui invece gli uomini e gli adulti in generale si fanno piccoli, figure spesso invisibili o relegate all’ombra, incapaci di educare e guidare. Un vero manifesto contro il potere maschile che domina ancora oggi, nello sport come nella vita quotidiana.
Il film è un potente richiamo al fatto che le dinamiche di potere, oggi come ieri, sono ancora dominate dagli uomini, nello sport come nella vita. E non sembra che qualcosa stia per cambiare “anytime soon”. Nonostante il movimento #MeToo e le tante denunce recenti che hanno travolto coach sportivi, dalla ginnastica al nuoto, le donne continuano a subire. E denunciare non è una passeggiata a piedi nudi nel parco. “Ognuno ha i suoi silenzi – racconta Tessa Van den Broeck – e Julie Keeps Quiet vuole esplorare proprio quella zona d’ombra che sta prima di una denuncia, o che magari non arriva mai. Certo, esistono tanti modelli maschili positivi, ma quelli negativi fanno sempre più rumore”.
Anche Grace Biot, altra attrice del film, interviene: “Non dimentichiamoci che anche gli uomini subiscono attacchi e affronti. Questo film è per tutti, perché nessuno è immune”. Presentato in anteprima a Cannes, dove ha raccolto applausi e premi meritatissimi, Julie Keeps Quiet è un capolavoro fatto di silenzi che urlano, di momenti sospesi, di un suicidio che lascia dietro di sé domande senza risposta. Van Dijl racconta l’adolescenza di Julie, giovane promessa del tennis che si ritrova a crescere in fretta, combattendo su più fronti: da una parte la pressione di mantenere un livello sportivo all’altezza del suo talento, dall’altra le difficoltà nello studio e nelle relazioni, mentre tutto ciò in cui credeva inizia a sgretolarsi. Lo sport diventa così una valvola di sfogo per tutte le ansie e le tensioni che esplodono dopo la morte improvvisa di Aline, un’altra brillante studentessa dell’accademia di tennis. Cos’è successo davvero? E perché il coach Jeremy è stato sospeso dal club?

Ora è Julie la nuova stella emergente, ma il prezzo da pagare potrebbe essere altissimo: una confessione potrebbe distruggere la sua carriera per sempre. Per questo resta in silenzio, custodendo una verità inquietante. Nessuno la costringe a parlare, e l’abuso rimane in sospeso, un segreto che fa comodo a tutti, compreso il club, che così evita scandali. Jeremy, intanto, continua tranquillamente il suo lavoro in un altro circolo, e il ciclo del danno è destinato a ripetersi. “Non è un film che spinge alla denuncia – spiegano Van den Broeck e Biot – piuttosto vuole mettere in luce l’importanza della prevenzione. Se c’è qualcosa di cui parlare, bisogna farlo, da giocatore a giocatore o da coach a coach. E se qualcuno ha il coraggio di parlare, va ascoltato. Ma non è detto che ci sia sempre la volontà di farlo”.
ll tennis, del resto, non è solo uno sport: è la metafora perfetta della vita, con tutte le sue regole, i suoi silenzi e le sue sfide. “Amo il tennis”, conclude Tessa Van den Broeck. “Ho girato personalmente le scene di gioco, è una parte fondamentale della mia vita. Non si tratta solo di vincere o perdere, ma di crescere, imparando a gestire le situazioni da sola. E sullo schermo, il tennis è uno sport che sa regalare emozioni potenti”.