Quel filo rosso che le unisce e con cui danzano all’inizio del magnifico documentario Si dice di me di Isabella Mari, presentato alla 19ª Festa del Cinema di Roma nella sezione FreeStyle, rappresenta il sangue versato da un femminile ancestrale che oggi esige di essere riconosciuto, ascoltato, rispettato. È il simbolo di una lotta per l’affermazione di sé, radicata in un passato remoto e universale. Un vincolo di sorellanza che supera confini, tempi e spazi: siamo a Napoli, ma potremmo trovarci in un deserto con donne beduine o in una metropoli con professioniste in carriera. Le scelte stilistiche della regista, nel raccontare questa storia di riscatto attraverso l’arte, sono frutto di una sensibilità che solo un’anima antica, in una persona anagraficamente giovane, poteva manifestare. “Quando sentivo che le loro storie diventavano troppo intime spegnevo la telecamera, perché era già sufficiente: si erano aperte abbastanza e non c’era bisogno di violare quel loro spazio sacro”, ha sottolineato Mari.
È proprio grazie al suo approccio delicato e rispettoso nel raccontare l’esplosiva e travagliata vitalità di questo gruppo di donne che il documentario acquista una forza autentica, lasciandoci con il desiderio di conoscere ciascuna di loro più da vicino. Quel non detto, quel solo accennato, ci spinge oltre il palcoscenico, dove Marina Rippa, operatrice teatrale e guida di questo progetto, accoglie le sue donne con un affetto quasi materno. “Il marito mi ha detto di lasciare il teatro, ma io piuttosto lascio il marito!” dice una di loro con un tocco di sarcasmo. E un’altra aggiunge: “Di me si dice che sono polemica, matta, chiatta, ma io me ne frego, io sono io”!
Lo spazio simbolico di questa trasformazione è “Piazza Forcella”, dove Rippa lavora da quasi diciotto anni con questo gruppo di donne, e da oltre trent’anni si dedica a laboratori teatrali nei quartieri più difficili della città. Attraverso il teatro, Rippa dona loro prima di tutto la forza di credere in sé stesse, facendo della parola uno strumento concreto di emancipazione. I suoi spettacoli nascono da zero, basati su idee che uniscono il presente, il passato e il futuro delle partecipanti, a cui Rippa infonde un’energia straordinaria. Le coinvolge, le stimola, le forma, condividendo storie di donne come quella di Pippa Bacca, cui ha dedicato una performance speciale, intrecciando al contempo la propria storia con la loro.

“Amo queste donne e amo questo lavoro”, confessa Rippa, in attesa dell’anteprima ufficiale al Maxxi. “Quello che dispiace è che l’assessore alle pari opportunità del Comune, che pure ci offre lo spazio, non sia ancora venuta a vederci”.
Chissà se questo documentario riuscirà a farle cambiare idea. Ci piacerebbe davvero pensare che sia così. Forse, vedendo il film, potrebbe cogliere quella grazia, quel rispetto e quella tenacia che Amelia Patierno, Anna Liguori, Anna Manzo, Anna Marigliano, Anna Patierno, Antonella Esposito, Flora Faliti, Flora Quarto, Gianna Mosca, Giustina Cirillo, Giusy Esposito, Ida Pollice, Iolanda Vasquez, Melina De Luca, Nunzia Patierno, Patrizia Iorio, Rosa Tarantino, Rosalba Fiorentino, Rosetta Lima, Rossella Cascone, Susy Cerasuolo, Susy Martino e Tina Esposito mettono ogni giorno nelle loro vite.

Mari ha definito l’incontro con quelle donne nel 2020 una sorta di epifania che l’ha fatta tornare ai ricordi dei racconti di sua madre, napoletana, mentre lei è di origine calabrese. Racconta la regista: “Non amo usare la parola ‘resilienza’, che non mi piace particolarmente, ma questo è stato sicuramente un lungo percorso di resistenza, anche per il progetto stesso, che ha richiesto oltre quattro anni. L’incontro con Marina, un’anima rara e pura, ha meritato tutto questo impegno. Ci siamo conosciute nel gennaio 2020 per uno spettacolo, ‘Ribelle‘, che a causa della pandemia non è mai andato in scena. Avrei dovuto solo documentare il loro lavoro e il backstage, ma la verità è che mi sono innamorata di Marina e delle sue donne. Sono felice di aver trasformato questa esperienza in un film”.