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McVeigh, nella mente dell’attentatore di Oklahoma City

Alla Festa del Cinema di Roma, Mike Ott porta una delle tragedie che ha segnato la storia degli Stati Uniti

Elena Dal FornobyElena Dal Forno
Alfie Allen nel film McVeigh di Mike Ott

Alfie Allen nel film McVeigh di Mike Ott

Time: 2 mins read

La mattina del 19 aprile 1995, un silenzio surreale precedeva la tragedia che stava per scuotere Oklahoma City. Alle 9 esatte, un furgone parcheggiato davanti all’Alfred P. Murrah Federal Building esplose in un boato assordante. In pochi istanti, 168 vite furono spezzate, 680 persone rimasero ferite, e un terzo dell’edificio si sbriciolò come un castello di carte. Quel giorno si sarebbe trasformato in una cicatrice indelebile nella storia degli Stati Uniti, segnando il peggior atto di terrorismo interno mai avvenuto fino ad allora. Solo un mese dopo, ciò che restava dell’edificio venne abbattuto per lasciare spazio al National Memorial, un luogo dedicato al ricordo di quella devastazione.

La mente dietro l’attentato venne catturata in tempi record: Timothy McVeigh, un giovane di appena ventisette anni, ex sottufficiale reduce dalla Guerra del Golfo, venne arrestato a meno di due ore dall’esplosione. Un giovane con ideali suprematisti, affascinato dalle armi e bramoso di vendetta per ciò che considerava un’ingiustizia – l’assedio di Waco. In McVeigh covava un odio cieco contro il governo, che lui vedeva come il vero “bullo”, il gigante oppressore che schiacciava i suoi cittadini.

Questa oscura figura è al centro del film McVeigh di Mike Ott, in anteprima al Tribeca Festival e presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle. L’opera, definita disturbante e ossessiva, ci porta dentro la mente contorta di McVeigh, con una regia volutamente minimalista. Non si tratta di un classico racconto biografico, né di una cronaca dettagliata dei fatti: Ott ci offre frammenti della vita dell’attentatore, squarci di una personalità disturbata che sembra quasi aliena, distante dalla realtà comune. Attraverso suoni angoscianti e lunghi silenzi, più che con dialoghi o una trama convenzionale, il film costruisce una tensione crescente e implacabile, che non lascia tregua allo spettatore.

La figura di McVeigh si delinea come quella di un giovane solitario e sospettoso, incapace di relazionarsi con gli altri, ma implacabile nel suo desiderio di vendetta. Fin da bambino, vittima di bullismo a causa della sua introversione, cercò nell’arruolamento militare una via di riscatto e fuga. Ma anche lì, il senso di tradimento da parte del suo stesso governo prese il sopravvento, trasformando la sua delusione e amarezza in un odio profondo e distruttivo.

Il regista non ci invita a comprendere McVeigh, ma ci spinge a immergerci nella sua psicosi, in una spirale di angoscia che culmina nell’esplosione finale. Il film è un’esperienza sensoriale, una sfida per lo spettatore, con la sua narrazione frammentata e un ritmo ipnotico che cattura e destabilizza. Quando il personaggio di McVeigh prende vita, è Alfie Allen, visto ne Il Trono di Spade, a dargli corpo e anima. Il suo sguardo, sospeso tra apatia e rabbia, rivela un giovane all’apparenza comune, ma tormentato da segreti troppo oscuri per essere sopportati.

All’uscita dalla sala, lo spettatore è inevitabilmente costretto a confrontarsi con una domanda senza risposta: cosa può spingere una persona a compiere un’atrocità del genere? La soluzione sembra sfuggente, imprigionata nella mente di McVeigh, che con la complicità di Terry Nichols, oggi condannato all’ergastolo, ha orchestrato una tragedia ancora profondamente radicata nella memoria collettiva degli americani.

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Elena Dal Forno

Elena Dal Forno

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