Nel riflettere sulla genesi del suo ultimo film, The Dead Don’t Hurt, Viggo Mortensen ha raccontato che tutto è nato da un ricordo legato a sua madre. “Ho iniziato a scrivere nel 2020, mentre mi trovavo a Madrid, in Spagna, senza avere idea che sarebbe diventato un western. La Spagna era stata colpita duramente dal Covid, proprio come il Nord Italia. Non potevo fare nulla, né tornare negli Stati Uniti, e la polizia era ovunque, limitando le possibilità di movimento. Trascorrevo molto tempo a casa, circondato dai libri del ventesimo secolo di mia madre. Quei libri, ricchi di colori e immagini suggestive, l’avevano profondamente ispirata. Lei è sempre stata una donna forte, indipendente, con opinioni ferme e una grande curiosità per il mondo e le persone. Durante il lockdown, ho iniziato a immaginare di essere come lei, come una ragazzina che si rifugiava in un mondo di avventure grazie alla sua immaginazione”.
Presentato nella sezione Grand Public e in anteprima mondiale, The Dead Don’t Hurt sovverte completamente i cliché del western classico. Non c’è traccia del tipico machismo o della violenza esagerata che spesso definiscono il genere. Al contrario, Mortensen ci propone una storia delicata e intima che esplora l’amore e la femminilità in un contesto duro e spietato.

La trama segue Holger Olsen, un immigrato danese interpretato da Mortensen, che si stabilisce nel selvaggio Nevada e si innamora di Vivienne, una donna franco-canadese interpretata da Vicky Krieps. Il loro amore, nato in modo semplice e genuino, viene presto messo alla prova. Holger decide di arruolarsi nell’esercito dell’Unione nella Guerra Civile, lasciando Vivienne sola a combattere in un mondo dominato dalla corruzione e dalla violenza.
Spiega il regista: “Nel film non ci sono grandi duelli o atti di eroismo maschile, è la storia di una donna che lotta per sopravvivere in un mondo ostile. Dopo un’infanzia difficile con un padre ribelle contro gli inglesi, Vivienne ha imparato presto a cavarsela da sola. Quando Holger parte, rimane a gestire la terra, rifiutando le avances di uomini più ricchi e potenti, dimostrando di non avere bisogno di nessuno per sopravvivere”.
Pur mantenendo una certa dose di violenza, il film evita qualsiasi forma di esaltazione. La brutalità è quasi palpabile, sospesa nell’aria polverosa del paesaggio, insinuandosi in ogni angolo, come un pericolo silenzioso e imminente. La narrazione si distacca dal classico western di frontiera per spostarsi su temi raramente affrontati nel genere: l’immigrazione europea e la condizione degli outsider in un mondo dominato da archetipi ben radicati. Holger e Vivienne, pur non essendo esplicitamente emarginati, portano con sé una sensazione di alienazione che rende il loro amore ancora più potente, quasi una forma di resistenza silenziosa.
Dopo l’esordio con The Falling nel 2010, Mortensen porta il suo western alla Festa di Roma, occasione in cui riceverà anche il premio alla carriera e terrà una masterclass. Il suo legame con i personaggi è evidente, soprattutto con Vivienne. E’ lei che, nonostante tutto, continua a costruire una vita in un mondo dominato dagli uomini. Mortensen ci ricorda che, mentre gli uomini combattevano per conquistare il West, erano spesso le donne a sostenerlo e tenerlo insieme, pietra dopo pietra.