
La vita è una serie di contraddizioni che si sovrappongono l’una con l’altra, un marasma nel quale ognuno di noi cerca di non sprofondare. “Toll” di Markowicz esplora queste incongruenze senza retorica o giudizio paternalistico su cosa sia giusto o sbagliato nel comportamento di made e figlio. Intreccia in modo magistrale una storia bella e, a tratti, comica senza perdere di vista il contesto in cui è ambientato, il Brasile, un paese alle prese con populismi e conformismi religiosi.
Suellen agli occhi di Dio è per definizione “una donna di facili costumi” , una donna poco virtuosa in un piccola cittadina dove la religione, più che coincidere con un credo in particolare, si configura come un generico sistema di potere. E’ facile intuire che il tema centrale del film è l’ipocrisia. La si può trovare in diversi personaggi, in particolare in Suellen determinata a condannare la vita del figlio, perdendo di vista i suoi stessi errori. Ua donna che è in grado di minimizzare e giustificare il proprio comportamento e addirittura usare il nome di Dio per perdonarsi, ma non riesce a mostrare empatia quando si tratta di sessualità e identità.
La regista lascia che siano i personaggi a rivendicare il proprio punto di vista e a convincere o meno lo spettatore. Non si schiera, consapevole che le persone che vivono ai margini della società spesso sono costrette a prendere decisioni discutibili quando si trovano in un vicolo cieco.
C’è qualcosa di divertente nel personaggio di Suellen quando esprime le sue idee sull’omosessualità del figlio. “Sai cosa dice la gente? Che stai diventando trans”, “È più di quanto molte madri debbano sopportare in tutta la loro vita”. Assistiamo a momenti particolarmente esilaranti durante i workshop del corso di conversione. In una scena i partecipanti maschi costretti a modellare un pene di plastilina in una vagina e ascoltare spiegazioni pseudoscientifiche su perché il Diavolo ha circondato l’ano di batteri.