Intenso, profondo, con una sceneggiatura superlativa ed una interpretazione splendida. “Anatomie d’une chute” non a caso ha vinto la Palma d’oro a Cannes ed è stato riproposto dal Rome Film Fest prima di uscire sugli schermi. Diretto da Justine Triet e da lei scritto insieme al compagno regista e sceneggiatore Arthur Harari (che aveva già firmato con lei il precedente Sybil) il film è sicuramente uno dei più belli quest’anno ed è già campione di incassi in Francia. Lungo, sì certo, ma le due ore e mezza di racconto sono piene, tengono con il fiato sospeso fino alla fine e anche dopo, perché Justine Triet lascia il finale aperto.
La storia: lo scrittore, professore francese Samuel (Samuel Theis) muore in circostanze misteriose, cadendo dal piano più alto della sua casa nelle alpi. Suicidio o omicidio? La polizia indaga, i sospetti cadono sulla moglie Sandra (Sandra Huller) anche lei scrittrice, tedesca, figura complessa, forte. Viene arrestata per omicidio. Il processo che ne segue metterà a nudo, una testimonianza dopo l’altra, un interrogatorio del pubblico ministero o dell’avvocato difensore dopo l’altro, la vita di questa coppia, oppressa dal senso di colpa per l’incidente capitato al figlio Daniel (Milo Machado Graner) che lo ha reso ipovedente, oppressa da debiti contratti per le sue cure, in competizione nella professione. Una relazione costellata, come si scoprirà, di tradimenti e feroci litigi. Partecipa alle udienze il bambino, il vero centro della storia, che non vede bene, ma vede più di chiunque altro la verità dei suoi genitori via via che il processo va avanti e alla fine sarà la chiave del finale. Non della soluzione che rimane tutta nei suoi occhi inquadrati in chiusura.

“Volevo fare un film sul rapporto tra uomini e donne – ha detto la regista – esplorando come una coppia possa cadere a pezzi fino ad arrivare alla disintegrazione della relazione. E ho immaginato un bambino che scopre i segreti dei suoi genitori durante un processo che seziona metodicamente la sua famiglia. E’ questo, lo sguardo del bambino, è l’elemento nuovo di una storia in cui il sospettato è uno dei coniugi. E in tutto ciò i ruoli sono capovolti: nel film è la donna che crea squilibrio abbracciando pienamente la sua libertà e voglia di eguaglianza e l’uomo soffre il dover stare a casa a badare al bambino”.
Questo è il punto importante. Justine Triet sostiene di aver visto nella sua vita troppi film in cui la donna è la vittima, violentata, ammazzata, fatta a pezzi, film che chiedevano allo spettatore di provare compassione per lei, non ne voleva fare un altro. In “Anatomie d’une chute” proprio il fatto che Sandra sia intelligente, ambiziosa, forte la rende la sospettata perfetta per una corte e pubblico ministero chiaramente attaccati ai ruoli tradizionali. “Sandra viene attaccata da una società moralistica che esamina il modo in cui le donne scelgono di vivere la loro vita.”
C’è anche il tema della nazionalità e dell’appartenenza nella storia perché Sandra è tedesca e non parla bene il francese, il processo si tiene in francese e questo la pone in una ulteriore posizione di svantaggio. Samuel e lei parlano inglese come lingua di incontro, ma rimangono fra loro diversità culturali che non si attenuano con il tempo anzi.
Il film è un giallo, una storia giudiziaria, ma soprattutto è una indagine psicologica che ricorda tantissimo “Scene di un matrimonio” di Bergman. C’è un litigio registrato da Samuel il giorno prima di morire che viene ascoltato in aula e che mostra magistralmente le tensioni di una coppia che cerca con difficoltà di trovare un equilibrio fra chi dà di più sacrificando spesso i propri interessi e chi di più non sa o non può o non vuole dare.
“Volevo parlare di cosa significa vivere con qualcuno – conclude la regista – cercando l’uguaglianza nella relazione, ma anche di quanto tale progetto di parità sia quasi impossibile da realizzare”.