Lungo applauso sentito per “Palazzina Laf”, l’esordio alla regia di Michele Riondino presentato fuori concorso al Rome Film Fest. Film insieme comico e triste, angosciante e vero con momenti di tensione sociale e altri di esilarante incredulità. LAF è acronimo di Laminatoio a freddo: la Palazzina LAF dell’ILVA era il luogo in cui venivano mandati, negli anni ’90, gli impiegati che si erano opposti alla “novazione” del contratto, cioè al declassamento a operai. Non potendo licenziarli, li sbattevano alla Laf, a non fare niente.
“Con Maurizio Braucci abbiamo cominciato a scrivere “Palazzina Laf” sette anni fa – spiega Riondino – I racconti che abbiamo raccolto in tutti questi anni hanno dell’incredibile e il lavoro che abbiamo dovuto fare è stato di creare una cornice di credibilità a delle storie assurde. Tutto quello che si vede nel film è successo davvero. Abbiamo voluto fare un film politico, ideologico se vogliamo e anche di parte”. E’ appassionato e convinto Riondino perché lui quella situazione, dell’ILVA di Taranto la conosce bene, ci lavoravano il padre e gli zii e lui è cresciuto lì e contro quel mostro che ha provocato morte e rabbia sociale ha lottato a lungo come attivista.
“In tanti anni come attivista ho avuto la possibilità di parlare della vertenza tarantina da diversi punti di vista – continua Riondino – ho organizzato concerti, ho raccontato in interviste, libri, dibattiti e conferenze la mia verità. Ci ho messo tutto questo tempo, per dire la mia verità attraverso il mio mezzo, la mia grammatica e l’ho voluto fare attraverso verità oggettive. Tutto quello che si vede nel film fa parte di una sentenza – aggiunge – la prima sentenza di mobbing in Italia. Prima della Palazzina Laf, infatti, non esisteva questo tema tant’è che il reato che è stato ascritto ai Riva e ad alcuni dirigenti è quello di violenza privata”

Nel ruolo di Caterino Lamanna, il protagonista della storia, Michele Riondino ricorda il Giancarlo Giannini dei film della Wertmuller, sebbene qui il contesto sia drammatico e reale. Lamanna è un operaio dell’ILVA di Taranto che un dirigente di azienda, Giancarlo Basile (Elio Germano) decide di utilizzare come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi. Finisce anche lui nella Palazzina Laf, dove i dipendenti in punizione passano le giornate giocando a carte, pregando o allenandosi con mezzi di fortuna. E finendo nella depressione più nera senza riuscire a trovare aiuto né nel sindacato né negli avvocati. Finché la loro situazione non viene a conoscenza della procura che avvia una inchiesta e il resto è storia.
Palazzina Laf gioca sulle battute in dialetto, l’incredibile maschera facciale di Riondino e la sua assoluta stupidità per creare effetti esilaranti nell’angoscia di una situazione realmente senza speranza. La questione dell’ILVA non è infatti ancora risolta e quello della Palazzina Laf è stato solo un capitolo della annosa vicenda.
“Il problema è che quell’azienda l’ha già chiusa il mercato – spiega Riondino – Noi lo diciamo da un po’. Undici anni fa abbiamo proposto un piano per la formazione dei lavoratori per lo smantellamento dentro le politiche del territorio, ma niente: si è preferito mettere 3500-4mila persone in cassa integrazione a non fare niente. Non vogliono darci un futuro che si distacchi dall’acciaieria”.
“Il cinema non può trovare soluzioni” afferma ma certo questo film di Riondino ha il merito di puntare di nuovo l’obiettivo sui lavoratori come ai tempi del cinema di Rosi, Petri e Gianmaria Volontè.
Interpretato anche da Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani ed Eva Cel, Palazzina Laf ha la musica di Teho Teardo, mentre la canzone finale La mia terra è di Diodato, tarantino come Riondino, suo amico e compagno di militanza.
“Palazzina Laf” uscirà il 30 novembre distribuito da Bim.