Diretto, interpretato, scritto da una donna, una delle attrici più importanti nel panorama del cinema italiano di oggi, definita uno Stradivari da un giornalista fra il pubblico, perché capace di una serie molto vasta di espressioni e talenti: Paola Cortellesi. Il film C’è ancora domani apre il Rome Film Fest nella sua 18esima edizione rinnovata e riveduta. Non più la giostra di star sul tappeto rosso per la gioia dei fotografi e del pubblico, incantato dal sempiterno fascino di Hollywood, che era stata la carta vincente della gestione di Antonio Monda, un carosello che non sarebbe neppure stato possibile quest’anno con lo sciopero degli attori americani che gli impedisce di pubblicizzare i loro film, ma una nuova visione, più intimista, più femminile, con uno sguardo molto rivolto verso l’Italia, l’Europa e l’Oriente con la nuova direzione di Paola Malanga. Una visione che ripristina il concorso, con una giuria diretta dall’attore messicano Gael García Bernal, famoso per Coco e The Motorcycle Diaries, e comprende la regista inglese Sarah Gavron, l’attrice Jasmine Trinca, il regista finlandese Mikko Myllylahti e l’attore francese Melvil Poupaud.
Più femminile dicevamo, lo ha rivendicato la direttrice nella sua intervista al quotidiano inglese Guardian, spiegando come ancora oggi le discriminazioni di genere nel mondo, anche in quello del cinema, sono esistenti. Sotterranee “come un magma nel vulcano” ha detto. Così dei 160 films de festival gran parte mettono in rilievo figure femminile davanti o dietro la cinepresa.
Ed è molto femminista il film di Paola Cortellesi che racconta la vita quotidiana di una donna qualsiasi a Roma nel 1946, una che ha superato bombe e privazioni della guerra con un marito, tre figli e un suocero da sfamare e servire. Una donna come tante, quelle che non vengono ricordate perché non hanno compiuto imprese eccezionali, ha spiegato Paola Cortellesi, ma hanno fatto la storia di questo paese tirando su generazioni di ragazzini e guardando sempre al domani, a dispetto di tutto.
La protagonista Delia fa molti lavoretti per guadagnare qualche centinaio di lire, i rammendi ai reggiseni, i rattoppi agli ombrelli, il bucato, e quando torna a casa serve come una schiava la famiglia, a cominciare dal marito. Che trova sempre qualcosa che non va, e la massacra regolarmente di botte. Come tante donne Delia è vittima di un consolidato sistema patriarcale che non lascia scampo, né allora né oggi, a giudicare dal numero di femminicidi nel nostro paese che non declina mai. La Cortellesi racconta una donna che subisce senza mai ribellarsi perché così è, così è sempre stato e in fondo è giusto: lei non vale niente. Solo quando le arriva una lettera con il suo nome sulla busta, prova che la sua identità esiste, è riconosciuta, ha finalmente la sensazione di esistere e questo, oltre all’amore per la figlia, cui vuole evitare un destino simile al suo, la decide a fare qualcosa di eccezionale.

Interpretato da Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli, Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni, il film è il debutto alla regia per Paola Cortellesi dopo tante sceneggiature, da Gli ultimi saranno ultimi, a Come un gatto in tangenziale, Ma cosa ci dice il cervello. Scritto con i suoi collaboratori abituali Giulia Calenda e Furio Andreotti, è ambientato nella Roma popolare della seconda metà degli anni ’40, è girato in bianco e nero, come il nostro cinema di quegli anni e si avvale di tutta la vena comica, scanzonata di Paola Cortellesi. Come lei sia riuscita a coniugare la drammaticità della violenza familiare con la leggerezza di momenti di amicizia, di chiacchiere di cortile, di fortuiti incontri con un soldato “negro” come lei dice, come si diceva allora, è proprio la specifica di questo film. Come facevano i grandi del cinema italiano di quegli anni, appunto, da Aldo Fabrizi ad Anna Magnani. Proprio lei, la Nannarella cui questo Festival è dedicato, nel cinquantenario della sua scomparsa.